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Crisi di governo. Russo Spena: «Continueremo il nostro impegno per la pace»

Giovanni Russo Spena

La dichiarazione di voto di Giovanni Russo Spena, Capogruppo di Rifondazione Comunista al Senato della Repubblica

Signor Presidente, il ministro D’Alema ha illustrato una strategia molto convincente, ha descritto i tratti di una politica estera autorevole, che Rifondazione Comunista condivide, anzi della quale si sente partecipe.

Vi sono, certo, all’interno della maggioranza punti di vista parzialmente diversi su alcune circoscritte questioni, ma l’importante è far prevalere la sintesi e non usare la politica estera come clava degli uni contro gli altri. Radicalità ed unità. Un progetto di giustizia e pace nasce infatti da un impegno paziente, rigoroso e diffuso fatto di saperi, professionalità ed iniziative. Il paradigma è l’innovazione rispetto alla disastrosa politica del Governo delle destre; è la sintesi delle grandi culture costituzionali ed internazionaliste del nostro Paese, quella cristiana, quella socialista, quella comunista, quella laica.

Innovazione, dicevo. Non v’è dubbio, infatti, che proprio sul terreno della politica internazionale si sia dispiegata la più ampia e poderosa operazione ideologica del neoconservatorismo globale. Esso ha puntato ad abbattere il ruolo delle Nazioni Unite e di ogni organizzazione regolatrice, capaci di delineare un Governo globale partecipato e condiviso; ha smantellato le basi stesse del diritto internazionale per l’affermazione tremenda, di un dominio solitario, di un comando imperiale del Governo Bush, di una sorta di protezionismo e di keynesismo di guerra.

Il Governo Berlusconi è stato un tassello ininfluente, acquiescente ed obbediente della dottrina neocon della guerra preventiva globale e permanente. Parlo dello «stato di eccezione», dello «stato penale globale», di un mondo terrificante, ingabbiato nello scontro fra le civiltà. La guerra ha sostituito la diplomazia ed è diventata una parte del nostro vissuto quotidiano, orizzonte del nostro immaginario collettivo. Una vera e propria crisi di sistema. Ma il fallimento, ormai evidente, della guerra preventiva globale del Governo Bush apre una fase di transizione, una frantumazione del pensiero unico imperiale. Qui siamo, come ha detto il ministro D’Alema.

L’esito positivo di questa transizione non è automatico, certo, non è scontato, ha bisogno di forti soggettività, di volontà coese, di forti aree regionali di intervento. Altro che antiamericanismo! Siamo attentissimi alla crisi di consenso sociale negli Stati Uniti, ma anche alla crisi istituzionale del Governo Bush-Cheney. Guardiamo con partecipazione e attenzione ai sommovimenti dell’America Latina, un eccezionale caleidoscopio, un intreccio fra laboratori antiliberisti e protagonismo inedito delle comunità indigene.

Pensiamo al rinnovato impegno italiano in Cina, in India, in Africa. Nella politica estera italiana risuonano finalmente di nuovo le parole «lotta alla povertà», «cooperazione», «lotta alla fame nel mondo», «abbandono ed abolizione della pena capitale». Si riscrive cioè una nuova agenda politica, alternativa, innovativa, intessuta della quotidiana e faticosa costruzione di un sistema di relazioni, della costruzione di un campo di alleanze. Condividiamo molto i due assi portanti di questa innovazione del Governo Prodi nel riferimento costante, che vi è anche nella nostra proposta di risoluzione, all’articolo 11 della Costituzione.

Multilateralismo dinamico e multipolarismo sono le condizioni essenziali per ricostruire la centralità del ruolo delle Nazioni Unite e con esso la sua profonda riforma per far emergere una soggettività politica unica ed organizzata dell’Europa, quell’Europa che i neocon, anche quelli nostrani, hanno tentato di dividere fra vecchia Europa e Nuova Europa nel tentativo di fiaccarla e di dominarla. E insieme una nostra decisa politica euromediterranea; un ritorno ad una vocazione della grandi culture popolari italiane, oltre che ad una naturale collocazione geopolitica.

Dobbiamo valorizzare il rientro dei militari italiani dall’Iraq; l’accorta diplomazia che evita di isolare come nemici l’Iran e la Siria; la missione in Libano, soprattutto, che ridà dignità al diritto internazionale, alle Nazioni Unite, esalta il ruolo europeo. Pensiamo, come il ministro D’Alema, ad una politica che restituisca pari dignità, diritti, statualità ai palestinesi, nel rispetto della sicurezza dello Stato israeliano, che pensiamo non possa essere assicurata da muri che dividono, separano, umiliano, né dall’occupazione di territori palestinesi che diventano dei bantustan militarizzati, ma solo dalla condivisione, dalla pace, dalle comuni sinergie produttive ed economiche di due Stati per due popoli.

Stiamo costruendo, insomma, ministro D’Alema, insieme, anche una buona legge sull’immigrazione, fondata sulla cittadinanza transnazionale, che non vede più l’immigrato come ospite sgradito o anche come potenziale nemico o al massimo come schiavo nel mercato delle braccia, ma come persona, come cittadino. Stiamo costruendo finalmente una buona legge sulla cooperazione. Stiamo, insomma, costruendo le fondamenta per una buona politica estera.

Certo, discuteremo insieme, ricercheremo insieme strade, percorsi, innanzitutto sul rapporto strategico fra Europa unita ed autonoma, comprendente il nuovo protagonismo russo, ed il persistente tentativo di egemonismo del Governo statunitense, tanto più pericoloso perché in crisi, che intende il rapporto come dipendenza di un’Europa, di cui si teme lo sviluppo economico, tecnologico, la soggettività forte in politica estera. L’Europa non deve e non vuole essere più un nano politico, privo di autonoma iniziativa diplomatica.

Questo comporterà la ridiscussione, certo, della nozione stessa di sicurezza che la nuova concezione strategica della NATO declina solo in termini di comportamenti ostili contro i Paesi islamici. La situazione insomma è in movimento, come ha detto lei, ministro D’Alema. Non credo che la sconfitta della dottrina della guerra preventiva globale possa lasciare nel futuro intatte concezioni che di quella dottrina sono figlie, come per l’appunto la nuova e aggressiva concezione strategica della NATO.

È questo il motivo per cui crediamo molto ad una strategia multilaterale anche per l’Afghanistan, che prenda atto del fallimento di una guerra che ha restituito il Paese ai signori della guerra in alcune zone ed ai talebani in altre zone, tracciando invece, come ella ha detto signor Ministro, i lineamenti di una reale conferenza internazionale che individui la priorità ed il primato della politica della cooperazione rispetto al prevalere del fattore militare e bellico, tanto più in vista dei prossimi mesi; mesi che possono esser molto difficili e che possono portare alla «irachizzazione» della situazione afghana.

Governare vuol dire ascoltare, conoscere, dialogare, ha scritto don Luigi Ciotti a proposito della domanda democratica di massa, posta dalla stupenda manifestazione di Vicenza. Governare vuol dire anche avere la forza di cambiare decisioni che appaiono alle comunità incomprensibili e sbagliate, ma sbagliate anche perché contraddittorie con quella politica estera che oggi stiamo a fondo apprezzando.

Intanto, e concludo, mi pare che si possano cogliere le parole sulla nuova base (non è un raddoppio) di Vicenza – oggi pronunciate dal ministro D’Alema – come un piccolo passo avanti nella direzione giusta. Noi continueremo il nostro impegno accanto alle comunità vicentine. (Applausi dai Gruppi RC-SE, Ulivo e IU-Verdi-Com)

GIOVANNI RUSSO SPENA
Capogruppo Rifondazione Comunista
Senato della Repubblica

21 febbraio 2007