Pare aver aspettato che arrivasse maggio. Anzi, il Primo maggio. Per andarsene con quella cortesia che per tutta la sua lunga vita lo aveva contraddistinto. Ci ha lasciati nelle prime ore di questa mattina, appena albeggiava e, nonostante la pioggia, di alba se ne vedesse ben poca.

Giuseppe “Pino” Leonardi, orgogliosamente romano e savonese d’adozione, era nato nel 1929, proprio in quell’era del fascismo in cui sarebbe cresciuto: da via di Ripetta a quella dell’Impero, costretto anche lui ad indossare le divise dei giovani balilla. Libro e moschetto. «Io c’ero il giorno che er Duce proclamò la guerra. Stavo là sotto, a monta’ la guardia vestito de tutto punto».

Pino c’era e, come testimone di tutti quegli eventi disastrosi per l’Italia che si avviava alla catastrofe, ci ha raccontato per molti anni aneddoti e anche proprie esperienze fatte in un clima di grande entusiasmo popolare, così come di altrettanto grande mestizia nel momento in cui i bombardieri alleati sorvolarono Roma e, contrariamente alle previsioni del regime di Mussolini, presero di mira gli impianti ferroviari e, purtroppo, anche alcuni quartieri come San Lorenzo.

Proprio a questo proposito, in quel giorno ferale, mi raccontò che stava pattinando vicino alla sede dell’ambasciata giapponese. All’improvviso suonarono le sirene della contraerea. L’allarme fu generale, il fuggi fuggi di persone anche. Un allarme tardivo, perché i bombardieri erano praticamente già sopra la Capitale. Il giovane Pino quindi cerca un riparo.

Per fortuna sua colpiranno altrove. Faranno decine, centinaia di morti. Sarà il primo segnale della vulnerabilità italiana davanti all’incedere violento e orrorifico della guerra. Sempre da balilla moschettiere vede entrare a Palazzo Venezia l’amante di Mussolini, Claretta Petacci. Si affaccia al balcone di casa sua e – precisava – ogni giorno puntuale passava a cavallo il quadrumviro De Bono.

Il clima totalizzante del regime inebria anche i ragazzi come lui. Una sera, mentre nella via di Ripetta passano i gagliardetti e marciano le camicie nere, Pino si gira verso suo padre e gli dice: «Papà, se more er Duce io m’ammazzo». Di questi aneddoti ce ne ha raccontati tanti. Pezzetti preziosi di storia che rimangono nella memoria e che sono utili per comprendere a fondo il clima di quegli anni.

Finita la guerra si diplomerà al Liceo Classico (suo amico di studi sarà per qualche tempo il giornalista Maurizio Costanzo) e intraprenderà il lavoro di ferroviere. Capotreno rigoroso, dalla divisa sempre lucida e ben stirata. Si iscriverà al Partito Comunista Italiano e, contemporaneamente, farà attività sindacale per la CGIL. Il suo essere di sinistra verrà da lui sempre declinato in chiave molto pragmatica.

Forse anche per questo noi lo consideravamo un “moderato“. E Pino lo era. Perché non era un cieco estremista, un ottuso settario, un rivoluzionario a parole. Era un riformista che non aveva tradito gli ideali della sua gioventù e che è stato, fino a quando la salute gli ha permesso di fare attività politica, dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori, di quelli più fragili, deboli e indigenti.

Quando il PCI muore, contrariamente a suo figlio Faliero, fa la scelta di aderire al Partito Democratico della Sinistra. Rimarrà nel PDS un po’ di anni. In seguito, complici anche i valori dell’amicizia che nutriva per tutte e tutti noi, si iscriverà a Rifondazione Comunista. Il suo amore per la cultura ne ha fatto un compagno con cui era possibile discutere di qualunque tematica tanto politica quanto esistenziale.

Era facile con lui mettersi a parlare tanto di Karl Marx quanto di Pitagora o della musica italiana, della civiltà occidentale, di quelle degli altri continenti. La nostra passione era, in fondo in fondo, la Storia con la esse maiuscola. Abbiamo fatto tanti viaggi nel tempo, analizzando le epoche e discutendo anche molto animatamente su personaggi e passaggi strategici per l’umanità nel corso dei secoli.

La sua gentilezza innata la rifletteva e portava ovunque. Un galantuomo senza se e senza ma. Come lavoratore, come padre e come amico e compagno. Fabrizio Ferraro, già Segretario provinciale del Partito, lo ha ricordato con delle bellissime parole su Instagram. Ve le voglio proporre, perché descrivono davvero con meticolosa e istintiva precisione il carattere del rapporto che intercorreva tra lui e i giovani:

«Pino Leonardi se ne è andato all’età di 95 anni. Per me non è stato solo un compagno di partito, ma anche un amico e un padre politico ad honorem. Mi mancheranno tanto le nostre risate e le lunghissime chiacchierate di politica, di cinema, di storia e soprattutto su Roma, che conosceva “sassetto per sassetto“, come amava ricordarmi con il suo meraviglioso accento romanesco».

Così era Pino: stava bene con i giovani, a discapito della sua veneranda età, perché ogni volta che parlava con noi diveniva l’anello di congiunzione tra il passato e il presente, nella proiezione tutt’altro che rosea del futuro. Ci ha fatto conoscere le poesie di Trilussa e, in particolar modo, quelle di Giuseppe Gioacchino Belli. Scollacciate, irriverenti, sarcastiche e ironiche. Belle come la sua Roma che è una somma di tanti tempi che le si sovrappongono e la rendono unica.

Ci mancherai tantissimo, Pino. A me, e credo a tutte le compagne e a tutti i compagni, mancherà un pezzo di storia del Novecento, un pezzo di storia della sinistra che abbiamo potuto conoscere e apprezzare e dalla quale, probabilmente, abbiamo tratto anche degli insegnamenti. Non ti diciamo addio, perché “chi ha compagni” – recita l'”Internazionale” di Franco Fortini – “non morirà“.

A Sandra e ad Antonello un abbraccio forte e le più sentite condoglianze.

Ciao Pino!

MARCO SFERINI

1° maggio 2024

foto di Marco Sferini, RifondaFesta 2018 – Giardini di Zinola (Savona)