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Per saperne un po’ di più sui referendum sulla giustizia…

Russo Spena: «Il nostro NO convinto a tutti e cinque i quesiti»

Intervista al giurista, già senatore della Repubblica, Giovanni Russo Spena. «Votiamo NO, oppure non andiamo a votare (come propone e permette la stessa legge che regola i referendum), affinché non si raggiunga il quorum espressamente richiesto (cinquanta per cento più uno)»

Intervista cura di Alba Vastano

Si vota di nuovo. Ormai si viaggia con la tessera elettorale sempre in tasca. Il 12 giugno prossimo le urne attendono milioni di elettori. Il voto, in questa tornata elettorale, è doppio per due cause ben diverse.

E per le amministrative (ndr., in 978 Comuni) e per il referendum sulla giustizia. Mentre il voto per le amministrative è più d’impatto, in quanto si va per simpatia del candidato di turno e per affinità ai corrispondenti partiti, il voto referendario sul tema della giustizia comporta un reticolato di difficoltà, in quanto il tema è complesso e ai più sconosciuto nelle norme legislative che lo regolano.

Tanto più che i media fanno informazione limitata sui fatti correnti del Paese, anche a causa della guerra in corso in Ucraina con eventi tam- tam martellanti che assorbono h. 24 l’informazione mediatica.

C’è anche un altro motivo che rende poco accattivante l’interessarsi al referendum nello specifico, infatti per decriptare i quesiti ed evincerne il senso bisognerebbe prender lezioni full time da giuristi, esperti nei temi specifici legati ai grandi temi del referendum prossimo e non sarebbe davvero sufficiente l’informazione mainstream. Avete provato a dare un’occhiata ai quesiti? Sono formulati con codice linguistico in modalità burocratese.

Proviamo a leggere cosa ne pensa del referendum sulla giustizia Giovanni Russo Spena, giurista garantista, ex parlamentare (senatore XIII- XV legislatura), responsabile giustizia e area legale del Partito della Rifondazione comunista – Sinistra europea.

Partirei ab origine della questione chiedendoti i motivi per cui è stato promosso questo referendum che è abrogativo e da quali forze parlamentari è partita la proposta.
Il referendum è promosso da 9 consigli regionali a maggioranza di centrodestra. Attiene al solito scontro tra politica e magistratura, che è fattore di logoramento della democrazia costituzionale. I referendum parlano, con forte strumentalizzazione propagandistica, di “giustizia giusta”.
Credo, invece, che vada respinta questa impostazione, perché si tratta, in definitiva, del solito tentativo di una parte del potere costituito di limitare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. La quale, a sua volta, come da anni denunciamo, è dilaniata dal correntismo, dall’abbandono di forti idealità, dal mercato tra dirigenti politici e alti magistrati corrotti.
La magistratura, che ritengo in larga maggioranza sana, dovrebbe ripartire dalla consapevolezza degli errori compiuti, dalla necessità di recuperare un rapporto di stima e fiducia con la cittadinanza.

Il 12 giugno 51 milioni di elettori sono chiamati alle urne per esprimersi, tramite 5 quesiti referendari sul tema della giustizia,. Non tutti gli elettori sono ferrati nel campo delle norme giuridiche relative ai quesiti che sono espressi in linguaggio burocratese e tecnico.
Mi limito ad un riflessione storica, di sistema. Quale rapporto tra Parlamento (democrazia rappresentativa) ed istituto referendario?
Credo, alla luce degli articoli 71 e 75 della Costituzione, nel rapporto dialettico . I referendum, attuati soprattutto dalla metà degli anni ’70, hanno inciso moltissimo sulla cultura del Paese. Grandi temi: divorzio, aborto, no al nucleare, acqua pubblica bene comune ecc. Ma proprio per questo ritengo sbagliato un “pacchetto referendario”, ipertecnicista, che tagliuzza centinaia di leggi, dovendo rispettare il carattere abrogativo costituzionale.
La popolazione non può capire. Si allontana da un istituto referendario utilizzato strumentalmente. Non è questa la strada per una “giustizia giusta”, come, con enfasi inopportuna e grottesca, sostengono Lega, Forza Italia, Italia Viva.
Per questo credo che si possa votare 5 NO, rifiutando l’impianto e la manovra strumentale, o anche astenersi dal votare, in tutto o in parte, tenendo conto che la legge referendaria impone, per la validità, il quorum del cinquanta per cento più uno. Non a caso. Legge saggia, contro gli eccessi referendari.

Entriamo nel merito dei 5 quesiti, con la speranza di poter far passare un’informazione utile alla causa che dalla nostra parte è per il No, spiegandone i motivi.
Dei cinque quesiti due sono ininfluenti perché assorbiti dalla “riforma Cartabia” che verrà votata a metà giugno. Tre sono i quesiti dei quali come giuristi e partiti stiamo discutendo.

Allora analizziamo, per renderli meno ostici agli elettori i tre maxi temi del referendum «Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo…», corrisponde al primo quesito in scheda rossa. Da garantista cosa ne pensi del fatto che i proponenti intendono cancellare la legge Severino?
Con un tratto di penna i proponenti vogliono cancellare gran parte della legge Severino, cioè la legge che prevede la non candidabilità e la decadenza per coloro che hanno subito una condanna superiore ai due anni. La regola vale per le candidature al Parlamento italiano ed europeo e per i ruoli di governo. Si applica anche, ma solo per alcuni reati, agli amministratori locali, che vengono sospesi dalla carica anche dopo la sentenza di primo grado.
Quest’ultimo punto a me non piace ed è stato giustamente criticato anche dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Ma non per questo possiamo abrogare per intero una legge che punisce chi non svolge la propria funzione con dignità ed onestà. La legge andrà corretta in Parlamento. Ma il “garantismo dei potenti” (alla Sgarbi) per noi veri garantisti è insopportabile.

«Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.447 (Approvazione del codice di procedura penale) risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole..». Ѐ il secondo quesito in scheda arancione. Il tema è la custodia cautelare. Puoi commentarlo, esprimendo il tuo pensiero sullo specifico tema?
Il quesito che ritengo più importante è quello collegato all’abuso della custodia cautelare., contro il quale combatto da una vita. Tema fondativo per uno Stato di diritto, perché la custodia cautelare spesso si trasforma in un anticipo della pena: il carcere senza processo e senza sentenza.
Ne soffre soprattutto la “povera gente” Sappiamo, infatti, che l’esecuzione penale ha risvolti classisti. Quale è, allora, il punto? Il quesito, che affronta un tema così rilevante, se vincesse il SI’, porterebbe conseguenze molto dannose.
Perché esso non interviene sugli abusi, ma opera una riduzione del campo di applicazione. Sarebbero impuniti reati come il finanziamento illecito dei partiti (non a caso), reati ambientali, femminicidi, perché il giudice non potrebbe emettere misure cautelari basate sul pericolo di “reiterazione del reato”, se non per alcune tipologie di reato.

Il terzo quesito (in scheda gialla) riguarda la funzione dei magistrati. In breve si chiede: «Volete abrogare la norma che oggi consente di passare, nel corso della propria carriera, dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero (accusatore) e viceversa?»
Ѐ molto importante opporsi al quesito sulla separazione delle carriere. Il quesito è incostituzionale. L’articolo 104 della Costituzione recita: “la magistratura costituisce un ordine indipendente ed autonomo da ogni altro potere”. E l’articolo 107 scrive:” i magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni”.
La magistratura giudicante e quella requirente (pubblici ministeri) fanno parte dello stesso ordine; la loro carriera è gestita dallo stesso organo di autogoverno (Consiglio Superiore della Magistratura).
In questo contesto, a differenza che nel passato, il pubblico ministero gode delle stesse garanzie di indipendenza. Le destre hanno spesso tentato, negli ultimi anni, di ricondurre il pubblico ministero sotto il controllo del potere politico, ma si è scontrata con il dettato costituzionale.

Qual è la differenza sostanziale fra separazione delle carriere e separazione delle funzioni?
Io sono, invece, per la separazione delle funzioni (non delle carriere), prevedendo anche un solo passaggio tra giudice e pubblico ministero. E’ giusto evitare passaggi da una parte all’altra senza motivo.
Ma il quesito referendario tende ad elevare uno steccato tra le due carriere, chiudendo il pubblico ministero in un ghetto dal quale non potrebbe più uscire nel corso di tutta la sua carriera professionale.
Diventerebbe automaticamente, oggettivamente, un “passacarte” delle Sezioni di Polizia Giudiziaria, un “braccio armato” del governo; non più parte imparziale del processo ma avvocato dell’accusa.
Allontanando il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione. Ma io credo molto nella obbligatorietà dell’azione penale (art.112 della Cost.): “il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” In definitiva, il “pacchetto referendario” proposto dalle destre, se fosse approvato, produrrebbe una lesione nell’impianto costituzionale.

Un consiglio all’elettore smarrito di fronte a quesiti troppo tecnici in materia di giustizia? Qual è la posizione più corretta da assumere rispetto al voto referendario?
Votiamo NO, oppure non andiamo a votare (come propone e permette la stessa legge che regola i referendum) affinché non si raggiunga il quorum espressamente richiesto (cinquanta per cento più uno).

Ultima domanda che rivolgo a te come giurista garantista. Come valuti l’impianto della giustizia italiana e le sue leggi? Tu, in realtà cosa modificheresti, ad esempio sul sistema carcerario, della cui modifica sei da sempre un fautore?
Ben più profonda riflessione merita la riforma della giustizia, riforma necessaria. Dopo anni di arretramento, sono necessari radicali interventi di forte segno democratico, anche per costruire un argine al degrado securitario, patriarcale, omofobo, proibizionista, razzista.
Quanti “pacchetti sicurezza” repressivi dovremo abrogare? Non occorre, forse, ripristinare il rispetto della concezione costituzionale della pena (“mai vendetta di Stato”, disse l’Assemblea Costituente), allargando i campi di applicazione delle misure alternative al carcere, fissando, come in quasi tutti i Paesi europei, un tetto massimo alla pena detentiva. Viviamo un passaggio di fase pericoloso. L’emergenzialismo post pandemia e, ora, il clima di guerra stanno segnando una deriva verso lo “Stato di eccezione”, lo “Stato del controllo”.
Si diffondono misure repressive, arresti domiciliari, fogli di via, obblighi di firma, come strumenti del potere per “insorgenze di ordine pubblico”; cioè per colpire attivisti politici, movimenti sociali, soggetti critici verso il potere. I casi stanno diventando numerosissimi. Sembra, insomma, che all’ordinamento penale sia stata delegata la regolazione dei conti con il conflitto sociale. Dobbiamo lanciare una sfida alta , democratica, che rinnovi e rafforzi le istituzioni repubblicane.

ALBA VASTANO
Giornalista. Collaboratrice del mensile Lavoro e Salute :: www.blog-lavoroesalute.org


Materiali del Partito per il NO ai referendum

Cartolina per i social

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I quesiti dei Referendum “giustizia giusta”

Quesito n. 1. Abrogazione della legge Severino

IL QUESITO «Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)?».

• Il decreto legislativo che porta la firma dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, in caso di condanna con sentenza definitiva per reati non colposi a pena superiore a due anni di reclusione. Per gli amministratori regionali, per i sindaci o altri amministratori locali è prevista l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per coloro che hanno riportato condanna definitiva per reati gravi (come la partecipazione ad associazioni mafiose, o altri fatti gravi) o per reati meno gravi quando si tratta di “delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio”. Nei casi di sentenza di condanna non definitiva per i reati che prevedono l’incandidabilità, scatta la sospensione e la decadenza di diritto per gli amministratori locali.

• Il decreto Severino presenta dei punti critici con riferimento alla sospensione di diritto degli amministratori locali che abbiano subito una condanna non definitiva per reati non gravi connessi ad eventuali abusi di potere. Tuttavia il quesito referendario non affronta gli eventuali punti critici ma propone l’abrogazione tout court dell’intera normativa sulla incandidabilità e decadenza dei soggetti che ricoprono funzioni elettive.

• In realtà si tratta di una disciplina che dà attuazione al principio costituzionale (art. 54) che esige che “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.

• Il quesito viene incontro alla diffusa insofferenza del ceto politico per il controllo di legalità ma danneggia fortemente l’interesse dei cittadini alla correttezza dell’agire pubblico. Ci sono stati degli abusi e, sicuramente, il caso di Luigi De Magistris è uno di questi, ma ciò non esclude il principio di precauzione che un accertamento giudiziale, ancorchè non definitivo, determini la conseguenza di natura amministrativa per evitare danni peggiori nelle more di processi incostituzionalmente troppo lunghi.

Quesito n. 2. Limitazione delle misure cautelari

IL QUESITO «Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché’ per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni.”?».

I promotori del referendum, avevano intitolato la loro iniziativa: limiti agli abusi della custodia cautelare. La Corte di Cassazione ha correttamente modificato la denominazione in “limitazione delle misure cautelari poichè il quesito non interviene sugli abusi della custodia cautelare, bensì opera una riduzione del campo di applicazione della custodia cautelare e delle altre misure coercitive e interdittive. I promotori lamentano che “ogni anno migliaia di innocenti vengono privati della libertà senza che abbiano commesso alcun reato” e hanno buone ragioni. Secondo il codice di rito, due sono le condizioni imprescindibili perché possa essere emessa una misura cautelare:

• Devono sussistere gravi indizi di colpevolezza

• Deve sussistere un pericolo concreto ed attuale (di fuga, di inquinamento delle prove, di commissione di gravi delitti con uso delle armi, o di delitti di criminalità organizzata, ovvero di delitti della stessa specie).

Questi requisiti processuali che legittimano l’emanazione delle misure cautelari sono presidiati da un duplice controllo, quello del GIP, che può respingere la richiesta del PM se ritiene non gravi gli indizi di colpevolezza, ovvero se ritiene che, pur in presenza di gravi indizi di colpevolezza non esiste una concreta pericolosità. Il provvedimento emesso dal GIP, riguardante misure coercitive, è soggetto ad un controllo immediato da parte del Tribunale del riesame, non a caso identificato come Tribunale della Libertà. A loro volta le decisioni del Riesame sono sempre soggette al ricorso per cassazione.

In caso passasse la modifica chiesta dal referendum, ai giudici verrebbe tolta proprio la possibilità di emettere delle misure cautelari coercitive (nonché misure cautelari interdittive) basate sul pericolo della “reiterazione del reato”. Un colpo di spugna che, caso vuole, riguarda anche il reato di finanziamento illecito ai partiti, tanto caro ai leader politici. La galera è sempre un male da evitarsi, tanto più, prima che una sentenza passi in giudicato. L’extrema ratio deve essere della custodia cautelare anche in carcere, tuttavia, eseguibile anche quando, pur non sussistendo il pericolo di fuga o di inquinamento delle fonti di prova, sussista il pericolo di reiterazione del reato non commesso con violenza personale o armi.

La questione assume notevole rilievo nei casi di delitti ambientali come l’incendio boschivo, il traffico di rifiuti, l’inquinamento ambientale o delitti seriali, dove la misura cautelare ha una sua specifica utilità per interrompere una carriera criminosa (si pensi allo spaccio di droga) o una progressione criminosa (si pensi agli atti persecutori che, se non interrotti, possono trasmodare in atti di violenza letale come il femminicidio). No sfugge il problema dell’abuso delal custodia cautelare, questione non risolvibile altrimenti con il rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e con una cospicua decriminalizzazione e depenalizzazione di fatti illeciti.

Il risultato finale di questa riforma non sarebbe quello di evitare che migliaia di innocenti vengano privati della libertà, ma di rendere meno incisiva l’azione di contrasto alla criminalità comune ed economico-finanziaria, e di restringere il perimetro del controllo di legalità a fronte di comportamenti devianti e pericolosi per la società.

Quesito n. 3. Separazione delle carriere

IL QUESITO «Volete voi che siano abrogati: l’ “Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura”; la Legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché’ disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché’ per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché’ sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’articolo 13, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160.»

La Costituzione prevede che: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (articolo 104); il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario (articolo 107);

La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse (art.108).

La magistratura giudicante (giudici) e quella requirente (pubblici ministeri) fanno parte dello stesso ordine, la loro carriera è gestita dallo stesso organo di autogoverno (il Consiglio Superiore della Magistratura). In questo contesto, a differenza che nel passato, il pubblico ministero gode delle stesse garanzie di indipendenza.

L’esigenza di ricondurre il pubblico ministero sotto il controllo del potere politico è una tentazione ricorrente nel mondo politico, ma si scontra con il dettato costituzionale. Per separare la carriera del pubblico ministero da quella dei giudici sono state avanzate numerose proposte di riforma costituzionale. Il quesito referendario si propone di realizzare lo stesso
obiettivo, aggirando l’ostacolo della Costituzione. Per fare ciò deve intervenire, con il metodo del taglia e cuci, su una grande quantità di norme dell’ordinamento giudiziario.

Attualmente la legge ha stabilito una netta separazione delle funzioni fra magistratura giudicante e magistratura requirente, con la conseguenza che il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante, e viceversa, è soggetto a delle forti limitazioni: è consentito solo cambiando Distretto di Corte d’appello, dopo cinque anni di servizio, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e subordinatamente ad un parere di idoneità alle diverse funzioni del CSM.

Il quesito proposto mira a mettere uno steccato tra le due carriere, chiudendo il pubblico ministero in un ghetto dal quale non potrebbe mai uscire nel corso di tutta la sua carriera professionale. Questa situazione ne farebbe oggettivamente un passacarte delle Sezioni di polizia giudiziaria e, paradossalmente, trasfomerebbe il PM da parte imparziale del processo a avvocato dell’accusa di berlusconiana memoria.

Allontanando il Pubblico Ministero dalla cultura della giurisdizione si creano le premesse perché, in seguito, con una riforma costituzionale possa di nuovo essere ristabilita qualche forma di controllo politico sull’esercizio dell’azione penale. Sarebbero altre le proposte per aumentare la qualità dei PM e la relazione con l’avvocatura si potrebbe inserire una norma che ne imponga una esperienza come difensori d’ufficio.

Quesito n. 4. Equa Valutazione dei Magistrati

IL QUESITO «Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?».

A norma dell’articolo 105 della Costituzione: “Spettano al consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.”

La valutazione professionale dei magistrati è una competenza che la Costituzione assegna all’organo di autogoverno, che decide anche sulla base dei pareri formulati dal Consiglio Direttivo della Cassazione e dai Consigli giudiziari. Il Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione è un organismo formato sulla falsariga del Consiglio Superiore della magistratura. E’ composto da membri di diritto (il primo Presidente, il Procuratore Generale ed il Presidente del Consiglio nazionale forense), da 8 magistrati eletti dai loro colleghi, nonché da 2 professori universitari e da un avvocato (membri laici).

I consigli giudiziari sono organismi territoriali anch’essi formati sulla falsariga del consiglio superiore della magistratura. Essi sono composti da membri di diritto (il presidente della Corte d’appello, il procuratore generale e il presidente dell’ordine degli avvocati del capoluogo del Distretto), da magistrati eletti dai loro colleghi e da membri laici, avvocati e un professore universitario, nominati con metodi vari e da un componente eletto dai Giudici di Pace.

I Consigli formulano pareri su questioni che riguardano l’organizzazione ed il funzionamento degli Uffici giudiziari, esercitano la vigilanza sulla condotta dei magistrati in servizio e formulano le pagelle relative all’avanzamento in carriera dei magistrati. Su queste ultime due competenze hanno voce solo i componenti togati.

Lega e Radicali chiedono che alla valutazione dell’operato dei magistrati partecipino anche avvocati e docenti universitari, i cosiddetti laici. In realtà, già adesso, la legge prevede che gli avvocati debbano esprimere una valutazione, poiché, ai fini della formulazione del parere sulla professionalità: “il consiglio giudiziario acquisisce le motivate e dettagliate valutazioni del consiglio dell’ordine degli avvocati avente sede nel luogo dove il magistrato esercita le sue funzioni.”

Di tutti i quesiti referendari proposti, questo è quello più inoffensivo, perché – quale che sia il parere del Consiglio giudiziario o del Consiglio Direttivo della Cassazione – l’ultima parola spetta al CSM, che decide.

Quesito n. 5. Riforma del CSM

IL QUESITO «Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, né possono candidarsi a loro volta”?».

Il quesito incide sulle modalità di presentazione dei candidati per l’elezione al Consiglio Superiore della Magistratura. La disciplina attuale prevede che i candidati in ciascun collegio debbano essere proposti da una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. Il quesito elimina la lista, facendo si che ciascun magistrato si possa candidare senza bisogno dell’appoggio di un gruppo di magistrati che sostenga la sua candidatura.

A ben vedere l’obiettivo che il referendum si propone (marginalizzare il peso delle aggregazioni di magistrati nella elezione dei membri del CSM) non può essere condiviso, perché l’elezione dei propri rappresentanti in un organo di autogoverno di rilievo costituzionale necessariamente comporta un confronto fra orientamenti culturali e politici differenti, non è una competizione fra qualità personali.

Si tratta, in più, di un obiettivo velleitario perché il singolo magistrato, che non sia sostenuto da gruppi organizzati, non ha nessuna possibilità di essere eletto a meno che non sia sostenuto da mass-media o da potentati.

Non è certo nascondendo le diverse tendenze politico/culturali che si limita il scandaloso mercimonio di cariche e incarichi che ha travolto il CSM. Il potere, non solo politico e qualche volta occulto, già oggi condiziona troppo la magistratura, ma ciò avviene per un deficit di discussione politica di ricerca della confomità delle norme al dettato costituzionale.

Un sistema giudiziario silente rispetto ai grandi temi e alle grandi ingiustizie che impattano sulla società è un sistema che disapplica i principi fondamentali della Costituzione a partire dall’art.3.

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