Nicola and Bart

Sacco e Vanzetti usccisi perché italiani, uccisi perché anarchici

Questa è una storia di due semplici uomini, di due italiani degli ultimi anni dell'800 e dei primi anni del'900. Emigranti, per motivazioni diverse, ma con lo scopo di riuscire a vivere dignitosamente in quella che ad entrambi sembrava la Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco in manette"terra promessa". La vicenda di Sacco e Vanzetti ancora oggi dimostra come possa essere deleterio il pregiudizio, come possa scatenare la più feroce delle repressione l'istinto di paura e di terrore davanti a chi mostra contrarietà rispetto alla classe dominante, al pensiero dominante, alla morale dominante.

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti arrivano per vie diverse negli Stati Uniti d'America: il primo lascia in Italia una famiglia che ha un commercio di olio extravergine di oliva a Torremaggiore. Negli USA trova lavoro presso un calzaturificio a Milford nello Stato del Massachussetts. È un tipo tranquillo, di poche parole ma che non se ne stà in disparte quando c'è da rivendicare la riduzione dell'orario di lavoro, l'apertura a nuovi diritti per i lavoratori e da tutto il suo sostegno alle lotte sindacali dell'epoca. È anarchico, come Vanzetti. Ma i due ancora non si conoscono.

Bartolomeo emigra per fuggire da una Italia che gli ricorda il profondissimo dolore per la morte della cara madre e forse anche per confermare una tradizione di famiglia che aveva visto anche il padre emigrante. A differenza di Nicola, Vanzetti è un grande lettore di opere classiche e di autori anche moderni: in casa sua si trovano testi di Dante, Marx, Darwin, Hugo, Zola. È anche un buon oratore e lo dimostrerà al processo, soprattutto nella fase finale, quando davanti ai suoi accusatori getterà in faccia la verità di quelle accuse, rette sul nulla, inconsistenti e rese possibili solamente dal clima xenofobo - in questo caso apertamente anti-italiano - e anticomunista (anche se Nicola e Bartolomeo non erano comunisti, ma anarchici) degli anni successivi alla Grande Guerra.

L'esecutivo americano ha bisogno di inaugurare una stagione di repressione dei movimenti operai, sindacali, come già sperimentata a Boston. Occorrono due agnelli sacrificali. Sacco e Vanzetti sono gli obiettivi di questa repressione crudele, spietata e che nulla ha da invidiare ai modelli autoritari di tanti altri paesi sia dell'epoca che non.

Quando scoppia la Grande Guerra, Andrea SalsedoNicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti fuggono in Messico per evitare di essere arruolati. Sono anarchici e non presterebbero giustamente mai le loro forze al servizio di uno Stato e, per di più, in una guerra contro altri popoli. Ma questo la gente, i governi, non lo capiscono. Per lo meno, la maggior parte delle persone vede questi anarchici come pericolosi radicali, come persone che hanno una "non idea" del mondo e che sognano una società, una utopia, un non luogo dell'esistenza che nulla a che vedere col meraviglioso mondo capitalistico che proprio in quegli anni prende il via dalla potente macchina economica americana.

Quando tornano, non sanno che sono già stati schedati come sovversivi. Il Ministero della Giustizia li conosce, li ha nelle sue cartelle e li tiene sotto osservazione. In queste liste compare anche il nome di Andrea Salsedo, un amico di Nicola e Bartolomeo. Fa una fine strana questo Salsedo, o per lo meno fa una fine chiarissima: viene assassinato dalla polizia che lo fa precipitare dal 14esimo piano del palazzo del Ministero di Giustizia. Un Pinelli ante litteram... Un "vizio" poliziesco quello di far precipitare anarchici distratti dalle finestre...

Questa defenestrazione porta Nicola e Bartolomeo ad indagare, a cercare di scoprire la verità. Tentano anche di fare un comizio a Brockton, il 9 maggio di quel 1920, ma vengono arrestati per aver diffuso volantini anarchici. Ed è in questo frangente che nasce l'assurda accusa: oltre ad aver affisso manifestini anarchici, avrebbero alcune settimane prima ucciso un cassiere e una guardia giurata del calzaturificio "Slater and Morrill", mentre lo stavano rapinando.

A nulla serve l'esposizione dei solidi alibi dei due anarchici italiani. A nulla serve la confessione del duplice delitto da parte di un detenuto portoricano. La giustizia americana ha già deciso: sono loro. Sacco e Vanzetti iniziano così un lunghissimo calvario proccessuale costellato di insulti nei loro confronti e di un castello di menzogne che fa rabbrividire nel leggere gli atti del dibattimento. Il linguaggio dei procuratori e dei giudici è spietato: "Bastardi anarchici" arriva a definirli il presidente del tribunale Webster Thayer. L'imparzialità del diritto americano è fuori dalle stanze del processo. Dentro ci sono solo pregiudizialità, la "paura rossa" dei comunisti, genericamente tale ed estesa a chiunque contesti l'ordine politico ed economico costituito.

Nicola Sacco, per tutta la durata del processo, tiene un comportamentouna delle tante mobilitazioni a sostegno di Sacco e Vanzetti da quasi assente: conferma quel suo carattere timido, taciturno. Ma non risparmia alcune repliche a questo potere che lo giudica per qualcosa che non ha fatto, che lo giudica solamente perché è anarchico, perché è un emigrante italiano.

Bartolomeo Vanzetti si esprime con più grinta, con veemenza. Punta il dito contro i suoi accusatori e dice loro quel che gli spetta. Parla l'inglese molto meglio di Nicola e fa un arringa finale che ancora oggi è considerata di altissimo profilo: «Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra; io non augurerei a nessuna di queste ciò che io ho dovuto soffrire per cose di cui io non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui io sono colpevole. Io sto soffrendo perché io sono un radicale, e davvero io sono un radicale; io ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano» [...] (dal discorso di Vanzetti del 19 aprile 1927, a Dedham, Massachusetts).

La mobilitazione interna e internazionale per i due anarchici è enorme: cortei, assemblee ovunque, intellettuali che firmano appelli al governatore. Ma non serve a nulla. La poderosa macchina dell'ingiustizia farà il suo corso.

Poco prima di essere portato alla sedia elettrica, Nicola Sacco scrive al figlio...: «Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso. Aiuta i perseguitati e le vittime perchè essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro. In questa lotta per la vita tu troverai gioia e soddisfazione e sarai amato dai tuoi simili»Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco in manette
Andrea Salsedo l'anarchico ucciso dalla polizia
una delle tante mobilitazioni a sostegno di Sacco e Vanzetti
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Il 23 agosto del 1927 li portano alla camera della morte. Li uccidono. Ma la loro storia, la loro memoria, il loro sacrificio estremo resta. E cinquant'anni dopo questo duplice omicidio di Stato, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis afferma l'innocenza piena dei due anarchici italiani: «Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti».

Marco Sferini
Dicembre 2009