Quella sera a Milano era caldo

Una strage, due falsi colpevoli e un omicidio di Stato

Sarà per sempre legata ai nomi di due anarchici la strage di Piazza Fontana. Ma per ora, forse mai, sarà legata ai nomi di quegli uomini dei servizi segreti, della galassia neofascista che furono gli esecutori materiali del triste incipit della "strategia della tensione", i primi soccorsi dopo la strage di piazza Fontanacertamente uno dei più sanguinosi, uno dei manifesti dell'eversione nera, piduista e anticomunista che veleggiava tranquillamente nei palazzi della politica come nelle vie delle città.

Ma il legame che esiste tra la strage e due anarchici non è un legame di sangue, di sangue che esce dai corpi straziati dalla bomba messa alla Banca nazionale dell'Agricoltura. È un legame che si regge su una ennesima ingiustizia, su due torti che non possono fare alcuna ragione, né morale, né tanto meno di Stato.

A quella che sarà per antonomasia la "strage di Stato", proprio lo Stato risponde chiudendosi a riccio e accusando gli innocenti. E quali innocenti sono migliori, da pescare come capro espiatorio, come elemento primario di deviazionismo delle indagini giornalistiche - forse quelle realmente serie di Camilla Cederna ("Una finestra sulla strage") - se non due persone che fanno politica, ma che non sono "rossi", bensì semplicemente anarchici. Un ferroviere e un ballerino. Due mestieri assolutamente diversi, due passioni politiche invece convergenti, unite da un sentimento di riscatto dei più deboli, di quotidiana avversione verso le ingiustizie.

Giuseppe Pinelli è sulla sua bicicletta la sera del 12 dicembre 1969. Lo fermano e gli dicono che deve essere accompagnato in questura. Chiede spiegazioni ai poliziotti, ma c'è un muro di mezze parole, di giustificazioni zoppicanti o, peggio ancora, di spettrale silenzio davanti alla sua incredulità. Lo portano al quarto piano, nell'ufficio del commissario Luigi Calabresi. È una fredda sera di inizio inverno, ma, come canterà per decenni la ballata intitolata a lui da Lotta Continua, "quella sera a Milano era caldo, ma che caldo, che caldo faceva"...

Fa caldo, perché per appioppare ad un assoluto innocente, anzi di più, ad un ignaro di quanto accaduto, una colpa come quella di essere un terrorista, un bombarolo che ha appena fatto una strage di civili, si surriscaldano gli animi. Si pensa, ripensa e si ripensa ancora come poter far passare una menzogna a 360° come verità.

E allora si porta in carcere un altro anarchico: Pietro Valpreda. Lo accusano di essere l'esecutore materiale e di avere avuto come complice Giuseppe Pinelli. Valpreda nega, protesta la Giuseppe Pinellisua innocenza. Ma non serve a niente. Il Corriere della Sera lo sbatte in prima pagina proprio con un titolo urlato: "Il mostro", lo definisce. E il presidente della Repubblica, il socialdemocratico Giuseppe Saragat, si precipita a congratularsi con il questore Guida.

A Pinelli dicono che il suo compagno del Circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa" ha parlato, che ha fatto il suo nome. Resta incredulo. È impossibile che un anarchico abbia sterminato della gente in nome dell'ideale libertario. Ma poi accade qualcosa di incomprensibile.

La moglie di Pinelli prova ad avere notizie del marito. Le dicono di stare tranquilla, che il marito non è in pericolo, che sta bene, che è stato fermato per degli accertamenti. Licia Pinelli non sa che di lì a poco suo marito sarà una delle vittime che questo Stato farà per avere ragione di un piano incostituzionale di rovesciamento della democrazia repubblicana.

Intanto fa sempre più caldo nell'ufficio di Calabresi e, forse per aver sentito o visto qualcosa che non doveva né sentire né tanto meno vedere, Pinelli fa un salto dal quarto piano della questura di Milano e muore.

Ai primi cronisti che arrivano per saperne di più, si rilasciano dichiarazioni del tipo: "Mentre cadeva ha urlato, ha urlato qualcosa.". I giornalisti pressano il questore Guida che rilascia altre dichiarazioni dicendo che Pinelli, mentre si lanciava dalla finestra, avrebbe detto: "È la fine dell'anarchia".

Resteranno sempre e solo frasi di fantasia, ma attribuite senza alcuna vergogna al ferroviere che non aveva fatto nulla, che non sapeva nulla della strage di piazza Fontana.

Le indagini non ufficiali Pietro Valpredadiranno, nel tempo, che Pinelli quando piombò al suolo aveva il collo praticamente già spezzato. Le indagini non ufficiali diranno ancora che Pinelli aveva probabilmente subìto un colpo di tipo karate che aveva causato una lesione bulbare.

Le indagini ufficiali, gli esami necroscopici fatti sulla sua salma dissero, invece, che la morte dell'anarchico milanese era da attribuirsi ad un "malore attivo", ossia da un insieme di cause che avevano condotto Pinelli a perdere l'equilibrio e a precipitare dalla finestra.

Secondo la versione "legale", dunque, Pinelli sarebbe cascato per un malore ma avrebbe comunque avuto la forza di gridare che l'anarchia era finita... Suicidio? Malore?

La terza ipotesi, quella dell'assassinio, resta a mezzaria, resta incerta nella certezza, resta dubbio nella verità, resta come quelle accuse che Pasolini lanciava: io so, ma non ho le prove...

"Povero Pinelli, te l'hanno fatta brutta..." cantava Ivan Della Mea, aggiungendo: "...e mentre che cadevi, avevano paura che tu gridassi forte 'Mi ha spinto la questura'".

L'antologia musicale, biografica e la letteratura storica di quell'episodio è molto vasta e il caso di Pino Pinelli e Pietro Valpreda resterà e resta tuttora un triste emblema delle oscurità dei poteri che si incontrano e che non si fanno alcuno scrupolo nel coprire vergogne con gogne, reati con altri reati.

Di Giuseppe Pinelli ha parlato anche recentemente il i primi soccorsi dopo la strage di piazza Fontana
Giuseppe Pinelli
Pietro Valpreda
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con una strozzata commozione in gola e negli occhi, celebrando la stretta di mano tra la vedova del ferroviere anarchico e la vedova del commissario Calabresi.

Dalla storia di piazza Fontana, da quell'omicidio di massa, dalla colpevolizzazione degli anarchici e dalle tante sviste volontarie che si ammasseranno le une sulle altre, da tutto questo nascerà anche la nemesi politica sull'assassinio del commisario Calabresi. Ma questa, come direbbe Carlo Lucarelli, è un'altra storia.

Marco Sferini
Novembre 2009