Alla sinistra del PCI

La nascita del circolo culturale "26 Luglio" e del "il manifesto" a Novi Ligure

Il Centro d'iniziativa comunista de "il manifesto" è il primo gruppo politico che si organizza a Novi Ligure, nel 1970, alla sinistra del PCI. È il primo caso di un'organizzazione che nasce dalle costole del PCI capace di sviluppare critica e analisi di sinistra recuperando l'essenza libertaria del comunismo. Ecco qui di seguito la cronistoria di quella entusiasmante stagione.

Gli anni Sessanta

Negli anni Sessanta a livello nazionale erano da qualche tempo operativi molti gruppi, collettivi politici e culturali, ma anche nel piccolo microcosmo novese il fermento dentro e fuori il PCI serpeggiava e sfociava in piccoli quanto importanti episodi che, poi, avrebbero creato i presupposti per le future esperienze politiche di movimento.

Personaggi come Giancarlo Cabella detto "Kafka", Mantelli, Castelnuovo, Guido Manzone e Giancarlo Fasciolo, erano tra coloro che più di altri avevano una frequentazione degli ambienti intellettuali e una partecipazione ad avvenimenti politici anche internazionali: "Kafka" nel Sessantotto era a Parigi, e Guido a Berlino. Castelnuovo, militava già nel gruppo "Tribuna Rossa" e nel 1967, capitò a Novi in una delle importanti conferenze organizzate da Giambattista Lazagna, il Comandante Partigiano "Carlo" (in quegli anni Presidente dell'ANPI di Novi) per denunciare l'aggressione del servizio d'ordine del PCI nei loro confronti durante una manifestazione a Milano con Giorgio Amendola.

Questi erano un po' i messaggeri, coloro che portavano le notizie e spesso anche i pettegolezzi dall'esterno. Giancarlo Fasciolo, era il compagno interno al PCI Novese che forse più di altri intratteneva contatti con le persone più dialoganti delle diverse realtà politiche locali, in particolare con i giovani socialisti come Franco Contorbia e Gian Maria Ferrando, con i giovani dello PSIUP, in particolare Gianfranco Vandero, poi con gli studenti cattolici del circolo della "gioventù studentesca" che faceva riferimento a Don Mario Albertella.

Io in quel periodo ero segretario della sezione del PCI "Franco Rossi" (in precedenza, nel 1964, ero stato segretario di una FGCI numerosa, eravamo tutti giovani operai, apprendisti e garzoni) tenevo i contatti con i compagni iscritti o non iscritti al partito, che si muovevano all'esterno, cercando di capire e, per il poco che potevo, tentavo di mantenere aperti degli spazi, impedendo chiusure drastiche da parte del partito nei confronti di ciò che si stava muovendo e che lo lambiva. Ad esempio, erano mal sopportate le provocazioni scanzonate del "Kafka", così come non fu sopportata la posizione dura (soprattutto perché pubblica) di Guido Manzone, contro l'invasione della Cecoslovacchia. In quel frangente di fronte alla minaccia di ritorsioni contro Guido, dovetti minacciare le mie dimissioni e il caso rientrò.

I luoghi d'incontro e di discussione erano i più diversi, ma in particolare era nei bar, intesi come locali di aggregazione di base, che ci si riuniva. Il Bar Demicheli, meglio conosciuto come "La Beppa", il Bar Agostino, in viale Aurelio Saffi, e il Bar Como divennero, così, i nostri punti di riferimento per parlare tra noi e per stare in mezzo alla gente. Alla politica "ufficiale" questo nostro atteggiamento di partecipazione politica dal basso non andava molto a genio, infatti, una delle accuse denigratorie che venivano dall'interno del partito era: "quelli sono rivoluzionari da bar".

Nel Bar Como, davanti alla stazione ferroviaria, ci s'incontrava e si discuteva, spesso coinvolgendo gli avventori, con Giancarlo Cabella, Giancarlo Fasciolo, Andrea Mantelli, Rosolino Azzarello, "il rosso" Antonio Bizzarra, lo scultore Guido Selmi, Giancarlo Settembrini, Alfredo Pronzato (ex partigiano e virtuoso della chitarra), Aldo Santaniello, Carmelo Furfaro, Euro Gemme. Il confronto era aperto e genuino anche con vecchi partigiani e antifascisti storici come il "Nan" Carlevaro, Balestri, Repettino, e Alessandro Ravazzano, meglio noto come "Cucciolo". Alcuni partigiani quali Pietro Fasciolo, anarchico e partigiano in Yugoslavia, Michele Zunino, della "Mingo" di Silvano D'Orba e Gino Confetti di Serravalle, sono stati importanti compagni di viaggio.

Un gruppo di giovani era impegnato in un intervento nel sociale con la gente del quartiere della Pieve, tra loro Lorenzo Robbiano, oggi Sindaco (DS) di Novi ligure. Un altro gruppo con Rosanna Carrea e Mina Campofreddo Guastone, realizzò un importante lavoro d'inchiesta sui libri di testo.

Dentro il partito si dibatteva sulla necessità di rinnovare, democratizzare, individuare forme d'organizzazione per rispondere al meglio ai bisogni dei lavoratori e dei ceti popolari. Tra i militanti del PCI novese, i più sensibili a queste tematiche erano Gino Manfredi e Ettore Maggiolino, che spesso si interrogavano su quale dovesse essere in quella fase il ruolo dei comunisti nelle fabbriche. La Rivoluzione Cubana (1959), l'esperienza del "Che" (Ernesto Guevara de la Serna, 1920-1967), la guerra del Vietnam (1960-1975), il conflitto ideologico ("rivoluzione culturale") e non solo tra Cina e Unione Sovietica, la repressione della "Primavera di Praga" (1967-1968), erano alla base di non poche lacerazioni.

Se nella società civile i giovani che praticavano le varie forme di comportamenti trasgressivi ipotesi di vita alternative e di contestazione venivano chiamati "capelloni" i dissidenti dalla linea ufficiale del PCI, venivano identificati come i "Cinesi". In generale era quasi un'ossessione, ma nella nostra zona il fenomeno era modesto. A Novi, il primo "Cinese" in assoluto era senz'altro il "Bepi" dell'albergo Bologna. Ma nella prima fase del circolo "26 Luglio" il "teorico maoista" riconosciuto è stato Francesco Montessoro, detto il "maestrino".

In quel contesto, con un dissenso interno ancora sotto controllo, durante la campagna di tesseramento nel 1969, Franco Inverardi, mi chiese di scrivere un pezzo per "Il novese", dicendomi: "Il partito deve presentarsi unito!". Accettai, mai più immaginando che da lì a pochi mesi avremmo avuto il fatidico scontro. Ero confuso, ma credevo e speravo in una svolta positiva. Nel Novembre del 1969, il dibattito sul caso "Manifesto" accelerò e sciolse ogni ambiguità, mettendo a nudo l'incapacità del partito di mettersi in discussione, di uscire dalla gabbia degli accordi di Yalta, cioè stare con la NATO o con l'Unione Sovietica, e spogliarsi della pesante eredità stalinista, per ritrovare le radici e le ragioni vere del comunismo.

A Roma, nella sessione del Comitato Centrale, il ruolo di grande inquisitore fu assunto da Alessandro Natta, che lo eseguì con determinazione. La maggioranza si espresse per la radiazione dei compagni che dettero vita alla rivista "il Manifesto": Aldo Natoli, Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Lucio Magri, poi via via, nelle varie federazioni la radiazione mieteva vittime, come Valentino Parlato, Filippo Maone, Massimo Caprara e tanti altri. Contro la radiazione si espressero Giuseppe Leporini, Lombardo Radice, e Mussi. Si astennero Giuseppe Chiarante, Nicola Badaloni e Sergio Garavini.

A Novi i compagni che facevano riferimento a "il Manifesto" e che affrontarono il dibattito nel PCI in merito al documento del Comitato Centrale, furono: Walter Delfini, Giancarlo Fasciolo (che intervenne a nome del gruppo), Carmelo Furfaro, Francesco Montessoro, Ricci, Lorenzo Robbiano e Aldo Santaniello. Il dibattito si svolse in due serate. Nella prima la partecipazione fu scarsa ed un eventuale voto avrebbe messo a rischio il partito. Venne quindi proposta una seconda serata di discussione dove la partecipazione fu massiccia in particolare da parte di iscritti alla cellula comunale: i "fedeli alla linea" erano nettamente in maggioranza. Al dibattito, nell'ordine, intervennero: Pestarino, G.C. Fasciolo, G. Manzone, Monachini, Soro Oreste, Inverardi, Giorgio Guastoni, Sergio Fasciolo, Colombo, Andrea Scano, Dall'Acqua, Balestri, Marovello, Persi, Molinari, F. Montessoro, Marre, Walter Delfini.

Il documento del CC e del CCC fu approvato a maggioranza con soli undici voti contrari. Ci fu intimato di sciogliere il gruppo "antipartito" (*). Scopersi poi che le ragioni per cui il PCI si separava da noi non erano così nobili come pensavamo, se è vero quello che raccontò l'ex segretario di Palmiro Togliatti, Massimo Caparra, quando rivelò che durante un incontro con Giorgio Amendola, questi gli disse: "Voi del manifesto ci costate almeno due miliardi di dollari l'anno, questa è la cifra che l'URSS, non ci darà più se vi teniamo!" (dal libro: "Quando le botteghe erano oscure").

1970: la nascita del Circolo "26 Luglio"

Uscimmo, in tempi e modi diversi, restando per un certo tempo come sospesi, con riunioni e discussioni sul "che fare" attenti ai movimenti e ai conflitti sociali in atto. Un documento d'inchiesta sulla scuola materna a Novi a cura del "Centro di iniziativa popolare" porta la data: Aprile 1970. È l'inizio del nostro lavoro organizzato. Si andò alla costituzione del il circolo "26 Luglio" (il nome del circolo ricordava l'anticipazione della Rivoluzione Cubana, con l'attacco, fallito, alla caserma della Moncada, presso Santiago, la sede storica del circolo 26 Luglio in via Cavallotti (1970)dove, nel 1953, persero la vita settanta dei cento giovani che Fidel Castro condusse all'attacco), che divenne ben presto luogo di confronto e di aggregazione tra tutti quei giovani con cui avevamo fino ad allora intrattenuto rapporti disorganici.

I locali nello scantinato delle scuole Giovanni Pascoli, ci furono concessi dall'Amministrazione comunale, il PCI non si oppose perché i più pensavano che alla fine ci saremmo ravveduti. Franco Inverardi e Andrea Scano, autorevoli rappresentanti del partito vennero a farci visita, accompagnati da una bottiglia di "quello buono" e vedendo le foto appiccicate alle pareti di Marx, Engels, Lenin, Gramsci, Ho Chi Minh, Mao, "Che" Guevara, ci dissero: "Siete piuttosto confusi".

Dopo pochi mesi il circolo "26 Luglio" traboccava di gente. Oltre al gruppo dei compagni usciti dal PCI, molti erano quelli che nel Febbraio del 1969, dettero vita alla contestazione "antiborghese" al circolo esclusivo della Novi bene, l'Accademia di Via Girardengo o parteciparono alla manifestazione contro la guerra del Vietnam, tenutasi ad Alessandria, o al confronto-contestazione sempre nel '69, alla Benedica, dove un gruppo di giovani partecipò con le bandiere dei Viet Cong. (*)

Nei mesi successivi la sede si affollò di giovani, donne e operai, studenti e universitari: tra gli altri, Mimmo Porcaro (oggi studioso del marxismo), Lorenzo Deagatone intellettuale "operaista" che dette un forte contributo per un giusto approccio del nostro lavoro politico verso le fabbriche (alla fine di questa esperienza entrerà nel PCI e diventerà vicesindaco di Tortona), Maria Pia Ponasso, Massimo Botazzi (oggi segretario della locale SPI-CGIL), Daniela Merlano, Giuseppe Scarsi (diventato negli anni novanta segretario provinciale della CISL), Sandra Finetti, Giovanni (ora docente universitario) e Piero Bottiroli, Mariella Carpinello (oggi affermata scrittrice), Vanna Moccagatta, Giuse Gallo (attualmente segretario nazionale dei bancari CISL) e Mariano Fasciolo, che armato di chitarra, con il "Kafka", dava vita a momenti indimenticabili.

Si realizzarono iniziative culturali importanti come i seminari di economia e filosofia, si portò a Novi, il tetro militante di Dario Fo e Franca Rame, coinvolgendo con diverse modalità un'area sempre più vasta di persone e giovani intellettuali come Graziella Gaballo (adesso insegnante e storica) del circolo "Don Milani".

1971: il "Centro di iniziativa comunista de il manifesto"

Discusse le tesi de "Il Manifesto" nel Gennaio del 1971, si andò a costituire il "Centro d'iniziativa comunista de il manifesto" passando ad una forma più organizzata per permettere a tutti, operai, studenti, donne e altri soggetti sociali, di sviluppare i necessari interventi nelle varie realtà. L'organizzazione interna rimase per molto tempo di tipo assembleare e per quanto riguardava le fabbriche di tipo orizzontale con coordinamenti delle varie realtà locali e per l'Italsider, con un coordinamento nazionale. Puntammo molto sulle assemblee pubbliche che di solito erano stracolme, ricordo una delle prime con Massimo Serafini, poi quella con Aldo Natoli.

Tutti i compagni che transitavano per Novi e avevano contatti con la nostra realtà rimanevano piacevolmente sorpresi non solo per l'attivismo, ma soprattutto per il calore e la vitalità, la naturalezza dei rapporti, insomma c'era un bel clima. Per quanto riguarda la pratica delle assemblee occorre dire che eravamo soliti usare le iniziative pubbliche delle altre forze politiche, o situazioni di carattere sindacale, per provocare confronto e dibattito. Per questa nostra capacità eravamo piuttosto temuti. Ma c'era un uomo, un compagno, nel nostro "campo avverso", nel PCI novese, che aveva lo stesso spirito e la stessa nostra prassi: Andrea Scano (durante la Resistenza il suo nome di battaglia era "Elio"). Scano non si tirava indietro, lo ricordo durante gli spettacoli di Dario Fo, e alla prima assemblea pubblica del "Manifesto" con Massimo Serafini, e poi in ogni occasione dove si potesse discutere. Difendeva l'Unione Sovietica, difendeva il PCI, difendeva onorevolmente la sua storia. Coriaceo, passionale e intelligente, cercava sempre il confronto, per questo sono convinto che ci fosse più vicino di quanto si potesse immaginare dalle sue posizioni. Nell'anno trascorso, il 2004, Giampaolo Pansa, ha pubblicato un libro proprio sulla storia e le esperienze dolorose di Andrea Scano.

La nostra avventura proseguì, io e altri compagni partecipammo all'assemblea milanese dove si approvò la proposta di Luigi Pintor, di dare vita al quotidiano "il Manifesto". Il primo numero usci il 28 Aprile 1971. Il "Centro" di Novi Ligure, dette un forte contributo nella raccolta di fondi per realizzare questo progetto, contrastando con forza la campagna denigratoria del PCI incentrata su una bassa insinuazione: "Chi li paga?".

Ci organizzammo con le avanguardie di fabbrica, che avevamo già incontrato, come Michele Giacomazzi, del Delta (alla Delta, si avvicinò a noi anche Primo Mei, un operaio molto politicizzato del gruppo dei "Genovesi" che nella loro maggioranza erano espressione dell'ortodossia stalinista) Gerardo Cartasegna, Renzo Ferraris dell'Italsider, che aderirono al "il Manifesto", altri come Pino Robotti, Giuseppe Palenzona, Emilio Lagazio fecero parte in tempi diversi, del nostro gruppo di fabbrica. Eravamo una piccola organizzazione ma non minoritari, spesso nelle assemblee di fabbrica trovavamo il sostegno di operai cattolici e socialisti, il rapporto era più difficile con i compagni vicini al PCI. Il movimento si sviluppò su tutto il territorio e a rappresentare la realtà delle piccole fabbriche c'erano compagni come Gianfranco Marchesotti (da tempo dirigente della CGIL) e Carlo Confetti, che tra l'altro rappresentavano il forte e ben radicato gruppo de "il Manifesto" di Serravalle Scrivia.

La nostra presenza tra gli studenti era forte ma non settaria, si privilegiò la crescita del movimento più che esercitarne un controllo come organizzazione, così il movimento studentesco si sviluppò con grosse capacità operative. Nel Febbraio del 1972, ai funerali dell'operaio dell'Italsider G. Cipollina, morto a causa di un incidente sul lavoro, si vide una numerosa presenza studentesca. In quella occasione gli studenti dei Licei e degli Istituti tecnici organizzarono una assemblea dove prese il via una profonda riflessione sulla necessità di una più stretta alleanza tra studenti e operai e sulla crescita organizzativa del movimento studentesco, fu l'atto di nascita del "Collettivo autonomo studentesco".

Sempre nel 1972, nacque il "Collettivo femminista" e il movimento dei "Proletari in divisa". Sempre nel 1972, vi fu anche un'incauta scelta elettorale, che provocò le prime fratture, l'unica cosa positiva fu l'avere messo in lista, nel tentativo di tirarlo fuori dal carcere, l'innocente Pietro Valpreda, anarchico e vittima delle trame golpiste.

Nel 1972 le conseguenze delle trame golpiste ci toccano in modo diretto, il mondo politico e l'opinione pubblica novese furono scossi alla notizia dell'arresto di Gianbattista Lazagna, dopo la morte dell'editore Gian Giacomo Feltrinelli. Il circolo "26 Luglio" e il centro del "Manifesto", si impegnarono in una campagna per la sua liberazione. Per noi l'arresto di "Gibì" si inquadrava in un progetto reazionario teso a spezzare il filo che legava la parte viva della Resistenza ai nuovi movimenti. Nelle iniziative locali aderirono pure il circolo "Don Milani" e il circolo "Mateotti". L'avventura de "il manifesto" durò fino al 1973, quando con l'incontro di parte dello PSIUP e del MPL si passò alla forma partito. Nacque il PdUP per il comunismo.

Partigiani e movimenti

L'incontro tra partigiani e i giovani dei movimenti sorti tra il '67 e il '68, riveste una particolare importanza simbolica. Molti partigiani tra cui figure di alto profilo come il comandante "Carlo" G. B. Lazagna (medaglia d'argento) che avevano conservato quella particolare autonomia di pensiero e di movimento, quello spirito ribelle ereditato della esperienza partigiana, ebbero la capacità di entrare in contatto con chi in quegli anni aveva dichiarato "guerra al sistema" ad una società chiusa, bigotta e classista.

Quell'incontro ignorato dai più o strumentalizzato per bassi fini politici o trame più o meno oscure, portava in sé uno straordinario valore politico: Gianbattista Lazagna e Walter Delfini in una foto dell'Aprile 2001un filo di continuità tra chi aveva combattuto contro la dittatura fascista e l'invasione nazista, dando vita con la Liberazione, alla Costituzione Democratica e la Repubblica e le nuove generazioni che lottavano per difendere e ampliare quelle conquiste e quei valori.

Molti resistenti e partigiani si avvidero che nella realtà le cose non andavano secondo i principi conquistati. Per questo certamente intravidero nel movimento studentesco, nelle lotte operaie e proletarie, capaci di autorganizzazione e di una offensiva radicale la possibilità di completare il processo democratico da loro iniziato. Oggi si parla in qualche occasione di "democrazia partecipata" e si dimentica che in quei primi anni 70, essa è stata praticata dal grande movimento dei delegati, dai consigli di fabbrica, dalle assemblee, dai delegati e comitati di quartiere e in ogni realtà e conflitto sociale. C'è un elemento che pare unificare anche nella sconfitta il movimento partigiano (per quanto riguarda l'immediato dopoguerra) e i movimenti degli anni 70, è l'identico fastidio che il sistema dei partiti ha per i movimenti. È questo un dato che purtroppo si ritrova ad ogni occasione di crescita di movimenti spontanei, da quelli ambientali a quelli sociali.

Tutto deve essere sotto controllo, sotto l'egemonia diretta o indiretta dei partiti, le conseguenze possono essere molto gravi e pesanti come ha dimostrato il massacro durante il G8 a Genova.

1974: la nascita del PdUP per il comunismo

A Novi, lo PSIUP, (in cui erano già confluiti gli esponenti del Movimento Politico dei Lavoratori) di Emilio Coppero, con la sua maggioranza di iscritti non ne volle sapere di entrare nel PCI. Iniziò tra le nostre organizzazioni un processo di integrazione e unificazione. Nacque così anche a Novi, lo "PdUP per il comunismo" ed ereditammo la sede dello PSIUP sita in via Girardengo proprio di fronte al "Cremlino", la sede storica del PCI novese. Oltre a Coppero, potemmo vantare personaggi di punta come Angelo Bottiroli e Gianni Sala.

Nel 1975 questa aggregazione conquistò un seggio al Consiglio Comunale di Novi Ligure. In quella seconda metà degli anni Settanta ha però inizio un lento e inesorabile declino della nostra esperienza.

Quando lo PdUP, si sciolse, Lucio Magri, ne portò la maggioranza dentro il PCI vanificando una esperienza decennale, sacrificandola a non si sa quale progetto dentro un partito che, nonostante la onesta e dignitosa figura di Enrico Berlinguer, non aveva assolutamente fatto i conti con le ragioni fondamentali che ci indussero ad uscire. Una scelta "entrista" che non produsse in quel partito nessun cambiamento significativo.

Non sempre i compagni che rientrarono nel PCI hanno saputo portare la ricchezza della loro esperienza, anzi, spesso hanno espresso posizioni di particolare rigidità e chiusura, come se il prezzo da pagare fosse quello di abiurare lo spirito libertario che avevamo conquistato.

Solo il Circolo "26 Luglio" arriva alle soglie del 2000

Negli anni successivi, quanti non "lasciarono" o non tornarono nel rassicurante "ventre della balena rossa" continuarono a ricostruire nuove aggregazioni con ciò che si era salvato dal naufragio di altri velieri del movimento. Così negli anni Ottanta, per molti ex di Avanguardia Operaia, Lotta Continua, "il Manifesto" e PdUP, il riferimento politico divenne Democrazia Proletaria, organizzazione che mantenne ancora al centro della sua iniziativa politica la condizione operaia coniugandola con le lotte per la difesa ambientale.

Per molti di noi fu una logica conseguenza visto che già a fine anni Settanta, partecipammo all'esperienza dei collettivi di Democrazia Proletaria assieme a compagni come Roberto Berton (LC) e Danilo Roticiani (AO). Con questi gruppi si realizzò pure l'interessante l'esperienza dei "mercatini rossi".

Localmente sul piano operativo rimase essenzialmente la sede storica del circolo 26 Luglio in via Cavallotti
Gianbattista Lazagna e Walter Delfini in una foto dell'Aprile 2001
ancora e solo il circolo "26 Luglio" per tutti gli anni Ottanta e Novanta, impegnato nelle varie battaglie sociali e ambientali in particolare contro il nucleare.

Alcuni "ex", come il sottoscritto, Carmelo, Gerardo, Pasqualino, Danilo, Aurelio e molti giovani che non avevano avuto esperienze con i gruppi degli anni Settanta, ridavano vita al "26 Luglio" erano vivaci e creativi, come Dario D., Tino P., Enzo B., Maurizio M., Enrico G., Gianfranco B. e tanti altri che è difficile ricordare.

Nel 1983, con Federico Cassarino (medaglia doro al valor civile alla memoria), Massimo Letizia, Patrizia Benedetti, Philipe Beun Garbe, coinvolgendo tanti giovani amici frequentatori del "muretto", ci divertimmo a mettere in scena una mia versione de "La notte di Valpurga."

Ancora si formò nel 1986, un collettivo studentesco all'ITIS, con Massimo Oliveri, Massimo Di Murro, Andrea Vignoli, Mori, Flavio Santamaria, e tanti altri giovani, protagonisti di molte iniziative interessanti tra cui assemblee d'istituto sul Sessantotto, con il sottoscritto, con Basilico, un vecchio operaio della Pirelli, e Giuseppe Gallo, che nel 1968 era studente universitario. Sulla droga, con Don Gallo e i ragazzi della comunità. Inoltre concretizzammo l'ultima lotta unitaria tra operai e studenti contro le morti sul lavoro, dopo un incidente mortale all'Italsider di Novi.

Le "amministrative" del 1990

Nel 1990, alle elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio Comunale di Novi Ligure, tra il serio e la provocazione improvvisammo una lista rosso/verde. Quella lista fatta di esponenti dell'area "26 Luglio" e rappresentanti di associazioni ambientaliste con grande sorpresa portò a casa due seggi e mandò in consiglio comunale Renato Milano e Danilo Roticiani, che poi, assieme a Gian Battista Cassulo, daranno vita, nel 1993, al "Gruppo misto consiliare", con l'intento (snobbato) di dare vita a sinistra, dopo l'implosione dei partiti storici, ad uno schieramento di matrice progressista.

Sempre nel 1990 con Rinaldo Serra (una sorta di "Corto Maltese" con l'America Latina nel cuore, che fu in Nicaragua a portare il suo contributo per il riscatto di quel popolo), il circolo "26 Luglio" organizzò l'incontro con il console di Cuba. La guerra del Golfo, nel Gennaio del 1991, trovò ancora il circolo "26 Luglio" capace di aggregare decine di giovani nelle iniziative contro la guerra.

Conclusioni

Il circolo "26 Luglio" contribuì sia pure indirettamente alla nascita di un nuovo soggetto politico: Rifondazione Comunista. Infatti, Massimo Di Murro, uno dei giovani dell'ultima leva del "26 Luglio" entrò nel PCI quando per questo partito i nodi stavano venendo al pettine, diventando importante punto di riferimento per chi si voleva impegnare in questo nuovo progetto.

Il circolo "26 Luglio" finì con gloria la sua storia ospitando operai in lotta e il comitato contro le tasse sul metano nato nel 1997, una iniziativa che ebbe un grosso successo popolare, ma che mise in luce la scarsa sensibilità di una sinistra talmente presa dal proprio ruolo "governativo" da renderla incapace di cogliere le istanze popolari che chiedono equità fiscale.

Il grande e lungo tavolo del "26 Luglio" diventato nel corso degli anni un magnifico "affresco della memoria", raccoglieva in quella fine anni Novanta, scritte e imprecazioni dei giovani operai dell'impresa SECO, impegnati in una delle lotte più significative di quel periodo. Nel 1996, ci fu una lotta dura, con settimane di picchettaggio ai cancelli delle spedizioni, una lotta contro la prepotenza del nuovo padrone dell'ILVA.

Gli operai della SECO, con il loro leader, Raffaele Ferraioli, e i 120 operai dell'ILVA, espulsi dalla fabbrica, molti dei quali colpevoli di essere stati solidali con gli operai dell'impresa, pagarono caro il prezzo della privatizzazione, in una città che si mostrò ormai incapace di esprimere quella solidarietà che, invece, era stata il segno distintivo degli anni Settanta.

Walter Delfini
Novembre 2005

Questi sono frammenti di un vissuto politico raccontati di getto sul filo della memoria senza nessuna pretesa di ricostruzione storica.

(*) Molti di questi avvenimenti si possono trovare in modo più approfondito nelle pagine "La sinistra trenta anni dopo" pubblicate su "Il nostro Giornale" dal 13 novembre 1999 al 21 febbraio 2004.