Crepuscolo degli dei: attentato alla tana del lupo

La "Valchiria" che doveva uccidere Hitler

Adolf Hitler studia le mappe che hanno segnate le direttrici di avanzata dell'Armata Rossa ad est e quelle degli Alleati nel sud d'Italia. Accanto a lui i feldmarescialli del Reich cercano il consiglio migliore da dare al dittatore che inizia ad affannare sotto i colpi dei cannoni russi e dopo il fallimento di quello che doveva essere il suo capolavoro: l'"operazione Barbarossa", la conquista della Russia sovietica.

Il giorno del terzo attentato subito, Hitler si trova nella Prussia orientale a Rastenburg, per fare il punto della situazione sui vari fronti che gli alleati hanno aperto e stanno per aprire contro quella che il fuhrer si ostina a ritenere "la fortezza Europa" dove, secondo lui, gli alleati - dopo lo sbarco in Normandia - "non resteranno per più di nove ore". Non sarà così, per fortuna. Questa è una di quelle vicende dove forse si può ragionare anche con i "se e ma" che la storia molto spesso non concede come metodo di interpretazione dei fatti accaduti o che potevano essere e non sono stati. Questo è un episodio che certamente avrebbe dato una svolta incredibile alla seconda guerra mondiale se solo il conte Claus Schenk von Stauffenberg e i congiurati non avessero commesso alcuni piccoli ma imperdonabili sbagli.

I congiurati sono molti, sono quasi tutti ufficiali dell'esercito tedesco, Claus von Stauffenberganche se fra loro non regna una grande armonia ideologica e sono divisi su molte questioni sia di politica nazionale che internazionale. Alcuni derivano da nobili famiglie della Prussia preunitaria del Kaiser, e hanno per motto che un "feldmaresciallo" non tradisce mai se non per via di eventi eccezzionali e tragici che possano mettere in pericolo la Patria tedesca.

I congiurati giudicano la politica di Hitler non soltanto folle, con un atteggiamento che sarebbe a dir poco semplicistico nella valutazione, ma soprattutto lesiva del volere del popolo tedesco che "non potrà guardare in faccia più gli altri popoli" continuando ad essere e considerarsi superiore razzisticamente agli altri e sentendosi in diritto di violare i più vecchi e sacri codici d'onore e rispetto tra i popoli dell'Europa. Stauffenberg è uno di questi ufficiali di stirpe prussiana: morirà gridando al plotone d'esecuzione "Viva la nostra Santa Germania". Dei conservatori indubbiamente, ma non vi è dubbio che questi uomini comprendettero appieno il rischio per la Germania, una volta persa la guerra, di essere totale preda dei vincitori e di essere pesantemente umiliata, anche con una divisione territoriale. Come poi del resto fu. Per evitare tutto questo, i comandanti tedeschi ribelli, che da mesi stavano preparando l'operazione "Valchiria" (nata come un semplice piano di addestramento in caso di rivolte nella capitale contro i lavoratori coatti e ribelli di varia natura), avevano dalla loro una sempre più vasta rete di resistenza al regime di Hitler, alla Gestapo, alle SS e a tutti quei canali di potere dai quali si sprigionava il terrore del fuhrer.

Generali, colonnelli e altri alti ufficiali uniti in una nuova difficile prova: uccidere Hitler e liberare la Germania dal giogo tirannico e poter, quindi, intavolare trattative con ali americani e gli inglesi, con i russi e i francesi. E' l'idea che viene al generale Beck, al generale Fromm, a von Tresckow e Olbricht. Tra loro c'è anche un ex ambasciatore di stanza a Mosca, tale von der Schulenburg. Ci sono anche due alti prelati, uno cattolico e uno protestante: il gesuita padre Delp e il pastore luterano Bonhoeffer. Regista dell'operazione, anche se non certamente l'elemento più carismatico e di spicco, viene ad essere il conte von Stauffenberg: ha 37 anni all'epoca (siamo nel luglio del 1944), è di famiglia cattolica originaria del Baden-Wurttemberg. Un bel ragazzo, atletico e prestante. Ha un viso che affascina tutti: i tratti del suo volto - diranno i testimoni del fatto che stiamo raccontando - non erano solo gentili ma appariva sempre sereno e calmo anche nei momenti di peggior nervosismo.

Insomma, Claus von Stauffenberg era tipo da saper tenere i nervi saldi. Forse per questo viene scelto come esecutore del punto principale del piano "Valchiria": collocare la bomba accanto ad Hitler. Dunque, uccidere il fuhrer. La fase seconda dell'operazione prevede l'occupazione di Berlino e l'instaurazione non di un governo miltiare, come ci si potrebbe aspettare da degli ufficiali, bensì di un governo democratico in cui anche i socialdemocratici avrebbero avuto il loro ruolo. Il capo dello Stato sarebbe divenuto ad interim il generale Beck e il generale Goerdeler avrebbe assunto il ruolo di Cancelliere del Reich.

La protezione più alta che i congiurati hanno viene da tre grandi nomi, tre grandi feldmarescialli temuti e riveriti: Rommel ("la volpe del deserto"), Kluge e Witzleben. L'occupazione della capitale implica anche l'ovvio presidio della radio del regime e l'arresto di tutti i capi della Gestapo e delle SS. Eguali ordini vengono diramati a tutti i comandanti congiurati in Francia e nei Paesi Bassi.

Stauffenberg parte la mattina del 20 luglio 1944 alle 7,30 del mattino. Sorvola Berlino e si dirige alla "wolfsschanze", ossia alla "tana del lupo". Per meglio comprendere alcune difficoltà nell'esecuzione del piano, va detto che il conte prussiano è rimasto ferito sui campi di battaglia e ha l'uso parziale di una sola mano, mentre l'altra è praticamente un moncherino. Una sua parente ricorderà anni dopo che Claus aveva difficoltà notevoli nel maneggiare ogni tipo di strumento. Gli rimaneva persino difficile infilarsi il cappotto.

Quella mattina nella Prussia orientale splende un bel sole che filtra anche tra gli alberi di quella fitta foresta dove si trova il quartier generale di Hitler. "Sembrava qualcosa che stesse a mezzo tra un convento e un campo di concentramento", dirà di quel luogo il generale Jodl a Norimberga. Lo stesso che firmerà la resa incondizionata della Germania nelle mani dei comandanti alleati e dell'esercito sovietico.

IAdolf Hitlern questa specie di convento alberato Stauffenberg arriva alle 12,30 e dopo i rituali dell'occasione, va nella baracca di legno e muratura dove si trova la riunione degli stati maggiori con Hitler: Keitel, Jodl, Warlimont, il colonnello Brandt e altri ufficiali superiori delle SS. Ci sono guardie del corpo del fuhrer e un gruppo di stenografi.

Quando Stauffenberg entra, Hitler gli rivolge un saluto striminzito, distratto dall'ascolto del rapporto sulla situazione del fronte russo meridionale. Alle tre del pomeriggio attende anche Mussolini che sta arrivando in treno.

Sono momenti da cardiopalma: il conte Stauffenberg depone una borsa sotto il tavolo della riunione. Contiene l'esplosivo: una massa di grigio plastico inglese con un detonatore azionato a molla da un acido che corrode il filo di acciaio che lo blocca. Ne ha portato con sè quasi 1 kg, per l'esattezza 890 grammi. Ma non lo colloca tutto, solamente la metà. Qui potremmo inserire un "se": se la bomba fosse stata preparata con tutto l'esplosivo avrebbe avuto certamente un impatto duplice di quello ottenuto e, nonostante facesse caldo e le finestre fossero aperte e quindi l'impatto della detonazione potesse in qualche modo essere attutito da ciò, di certo non vi sarebbe stato scampo per molti in quella saletta piccola dove il dittatore seguiva i rapporti dei suoi generali.

Perchè Stauffenberg non impiegò tutto il materiale plastico resta tuttora un mistero. La borsa ora si trova sotto il tavolo. Qualcosa non va: il generale Brandt trova impaccio in quella borsa. Prima la sposta con un piede e poi la prende e la colloca più lontano da dove si trova Hitler. E' questione di centimetri, ma questo spostamento salverà la vita al fuhrer. "Devo uscire a fare una telefonata". Stauffenberg esce e si reca veloce su un auto già disposta che lo porta fuori dalla zona dell'esplosione. Avviene alle 12,42 e uccide quattro ufficiali. Uno di questi è il generale Brandt. Ma Hitler, protetto da una parte del tavolo molto spesso, si salva. Ha solo qualche contusione e graffio, ma non riporta alcuna ferita. Gli fa male il braccio destro, parzialmente paralizzato, ma è un trauma momentaneo.

Stauffenberg è certo di aver visto Hitler morto, ma alle sei di sera, quando rientra a Berlino scopre che nessuno ancora ha dato la notizia dell'attentato. Non solo questo impedisce una rapida attuazione del piano "Valchiria", ma la radio del regime diffonde la notizia che il fuhrer è stato oggetto sì di un attentato, ma che è vivo e vegeto e che sta bene. I congiurati danno l'ordine di occupare Berlino: si comincia dai ministeri. Il maresciallo Otto Remer viene incaricato di ciò. Va da Goebbels che, per tutta risposta e per nulla intimorito lo mette a colloquio telefonico con Hitler medesimo: "Lei riconosce la mia voce maggiore?". Dice Hitler a Remer. Questi risponde affermativamente. "La nomino colonnello e le ordinodi reprimere questa rivolta con la più spietata energia".

Il battaglione fa dunque dietrofront e va contro i congiurati questa volta. La "Valchiria" crolla in poche ore: il generale Beck si suicida. Appena saputo che Hitler è ancora vivo, il generale Romm cambia immediatamente campo e fa arrestare i congiurati rimasti. Vengono condotti nel cortile: ci sono il conte Claus von Stauffenberg, Olbricht e altri ufficiali.

Il plotone d'esecuzione ha la scena illuminata dai Claus von Stauffenberg e Adolf Hitlerfari dei camion che si sono messi davanti ai condannati a morte: una, due, tre scariche di fucili e cadono a terra.

Ma neppure l'ipocrita Romm scamperà dalla furia di Hitler: la repressione successiva del tentato colpo di stato viene repressa nel sangue più crudo nelle settimane successive e non lo risparmierà.

Fare un'analisi storica dell'attentato a Hitler è cosa che ci occuperebbe per il doppio, il triplo e forse più delle righe che sino a qui abbiamo scritto. Di sicuro possiamo dire ciò su cui tutti gli storici concordano, ossia che ai congiurati mancò una ribellione di massa del popolo tedesco e che essi forse non compresero che Hitler veniva ancora individuato come l'unico capace, a torto o a ragione, di condurre la Germania verso se non la vittoria, almeno verso una soluzione onorevole della contesa mondiale. Ma l'attentato dimostra la stortura di un brutto pregiudizio che molto spesso regna tra le pagine e i capitoli delle vicende naziste: non è vero che tutti i tedeschi erano favorevoli alla guerra di Hitler. C'era un serpeggiante malumore prigioniero del terrore instaurato dal potere del fuhrer che aveva saputo creare una possente macchina bellica e trascinare fuori dai cuori delle persone i sentimenti legati all'uguaglianza delle genti, istigando la popolazione, attraverso il corispettivo sonante della risoluzione dei problemi sociali dei più deboli, ad avere piena fiducia in lui, l'unico indispensabile capo della Nazione ariana e germanica.

Se l'attentato fosse risciuto? Possiamo dire che forse la Germania avrebbe potuto evitare ad esempio il rogo di Dresda e gli ulteriori bombardamenti su Berlino che la resero un campo aperto di macerie. Possiamo di certo affermare che gli alleati l'avrebbero punita con mutilazioni territoriali, magari riportandola ai confini antecedenti l'invasione della Polonia, ma che non avrebbe subìto la divisione in due settori, in due stati. La linea di confine della DDR con la Repubblica Democratica Tedesca era esattamente quella raggiunta dagli eserciti alleati e dall'Armata Rossa. Al momento dell'attentato, infatti, la Germania non era ancora stata occupata dalle truppe alleate e sovietiche che stavano solamente portando indietro una linea di fronte precedentemente fatta avanzare da Hitler.

Questi sono forse gli unici "se" che possiamo dire. Del resto non possiamo certo sapere: che sarebbe accaduto ad esempio ai campi di concentramento? E alla guerra con l'URSS? I congiurati, infatti, erano disposti solamente a trattare con americani e inglesi, non con i sovietici.

Quando parlerà alla nazione la sera stessa dell'attentato, Hitler dirà: "Nell'essere scampato io vedo un segno del dovere che m'incombe di continuare la mia opera". Quel "mein kumpf" giovanile che cambiò la vita della Germania e del mondo e ne fece un unico immenso cimitero.

Marco Sferini
Settembre/Ottobre 2005