L'idea della felicità in Francia e in Europa

Babeuf e l'egualitarismo comunista

La storiografia in generale è concorde nel definire la Rivoluzione francese una rottura netta con il passato feudale e triarcale (Nobili, Clero e Terzo Stato) verso un neonato riformismo sociale di stampo borghese. Almeno sino alla fine del periodo "terrorista" di Robespierre, Couthon e Saint Just, il Comitato di Salute Pubblica e quello di Sicurezza Generale rappresentano l'amministrazione di un corpo politico statale che definisce il suo essere nell'espansione dell'economia piccolo-borghese e che si vanta di portare la rivoluzione in un contesto di generale applicazione dei Diritti dell'uomo e del cittadino, riconoscendo così al fervore ribelle tutta la sua più genuina ed intrinseca natura proletaria.

Se buona fede in questo senso può esservi da parte dei giacobini, è altrettanto veritiero che la Francia e l'Europa si muovono in un contesto ormai apertamente scivolato verso la nuova economia capitalistica che ha disvelato il suo essere tale soprattutto con la politica imperialista affidata ai colonialismi britannici, olandesi e spagnoli. L'appoggio francese alla guerra di indipendenza americana non è altro se non lo scontro tra due potenze europee: Inghilterra e Francia, con Madrid che invece resta impegnata ad espandere i suoi domini nel centro e nel sud del Nuovo mondo.

In questo contesto di evoluzione economica e, quindi, di cambiamento nettamente strutturale della vita dei popoli europei, anche il fenomeno rivoluzionario francese assume una dimensione profondamente mutata dopo l' "ultima carretta" che trasporta Robespierre e seguaci al patibolo. La lama della ghigliottina non fa altro che separare ancora una volta non solo una testa dal corpo, ma bensì un periodo da un altro.

"La felicità è una idea nuova in Europa", aveva solennemente proclamato il giovane Saint Just alla Convenzione: un volo pindarico verso l'affrancamento delle sofferenze proletarie. L'epilogo di ciò che cominciò con la presa della Bastiglia è in realtà non il trionfo della giustizia per gli straccioni e i sanculotti di ogni parte della Francia, ma è la ritrovata ambientazione politica per quella reazione che aveva dovuto chinare la testa davanti al terrore proclamato nelle leggi di Pratile, con la scristianizzazione della Francia e con l'istituzione dei granai pubblici ed altri strumenti sociali di controllo parziale della produzione.

I ceti più borghesi e reazionari con il Termidoro riprendono, dunque, in mano le sorti dello Stato che fu di Luigi XIV e del decollato Luigi XVI. Ma c'è un giornale nella Francia di quel tempo che denuncia apertamente le malattie sociali, la miseria e la controrivoluzione in atto: si chiama "Le Tibune du peuple" e ne è instancabile animatore il giovane Francois-Noel Babeuf, che si fa chiamare "Gracco" in omaggio ai due tribuni della plebe romana che diedero avvio alla celebre riforma agraria e per la quale morirono.

Babeuf è tanto deciso nelle sue opinioni quanto, spesso, troppo legato ad una melanconica voglia di riscatto proletario che finisce per sciogliersi nell'idealismo e nella semplice e pura proclamazione degli intenti. Eppure ha in mente un chiaro programma di riscatto dei diseredati, di tutti coloro che, anche durante e dopo il levarsi "superbo del sole" (così Hegel definì la Rivoluzione francese), non trovarono poi un grande vantaggio dall'abbattimento della monarchia con la conseguente nascita della Repubblica francese (1792). Il 9 frimaio dell'anno IV della Repubblica, ossia il 30 novembre 1795, Babeuf scrive un "manifesto dei plebei" sulla sua rivista: chiama il popolo dei berretti rossi sanculotti a raccolta e tenta di ridare vigore a quello che lui chiama lo "scoramento" delle masse.

È un vero e proprio antesignano dell'egualitarismo sociale e le sue parole tuonano dalle colonne del giornale: "...le istituzioni devono assicurare la felicità comune, l'eguale agiatezza di tutti i coassociati". Babeuf parla di associazionismo e di comunanza e condanna quella che lui definisce l' "eguaglianza mentale", che noi forse oggi potremmo paragonare al messaggio mediatico universale che ci parla del capitalismo come di una sorta di modello economico-sociale perfettibile e comunque necessario allo sviluppo di ognuno e di tutti. A Francois Babeuf la sola idea dell'eguaglianza non basta, così come è evidente che non può bastare al popolo di Francia, ai popoli d'Europa per poter vivere. La soddisfazione dei bisogni reali si fa avanti e, con essa, procede in questo senso la rivendicazione sempre più decisa dell'abolizione della proprietà privata anzitutto delle terre e poi anche la fine, ad esempio, di quella "scempiaggine" che lui vede nella perpetuazione della proprietà attraverso il diritto ereditario dei beni materiali.

Se Robespierre aveva creduto anche nella rivoluzione dello spirito, nella "virtù" come fonte di trasformazione degli uomini in comunità di eguali, per Babeuf la rivoluzione ora "va fatta nelle cose". Lo scrive e lo riscrive sul suo "Il Tribuno del popolo": "...ma nelle cose bisogna che questa rivoluzione sia fatta compiutamente. Eh! che importa al popolo, che importa a tutti gli uomini un cambiamento di opinione che procuri loro solo una felicità ideale?".

Il paradigma di Saint Just si rafforza e passa dall'idea alla concretezza e, di conseguenza, alla rigida rivendicazione di classe: è infatti il classismo sociale il nuovo protagonista della scena nel dopo Termidoro, negli anni del Direttorio fino alla "Congiura degli eguali" e poi via via scemando verso l'impero del piccolo grande corso.

Babeuf, che è stato più volte imprigionato e detenuto con l'accusa di fomentare l'anarchia, sa di rischiare e, infatti, rischia moltissimo. Ciò nonostante continua con la sua battaglia comunistica: "I tribuni della Francia che ci hanno preceduto hanno concepito in modo migliore il vero sistema della felicità sociale. Hanno visto che poteva risiedere solo in istituzioni capaci di assicurare e di preservare inalterabilmente l'eguaglianza di fatto".

Quest'ultima è una affermazione importantissima, perchè è una costante di tutti i testi babuvisti: la usa anche Sylvain Maréchal nel suo "Manifesto degli Eguali". È su ciò che si basa l'idea sempre più caparbia di Babeuf di "espropriare" tutta la Francia: lo confessa ad un generale di stampo sanculotto, tale Rossignol, in una riunione del Direttorio segreto che doveva condurre all'insurrezione proletaria.

La radice primordiale del moderno comunismo, anche se non legata ad alcuna analisi di scienza, come invece sarà per Marx ed Engels, sta in questo tentativo di Gracco Babeuf di fare della Francia una democrazia sociale, socialista: sulla produzione delle industrie, in modo esplicito, afferma che non può esservi appropriazione privata, ma godimento da parte di tutti dei frutti del lavoro. Così vale per la conoscenza, le arti: devono indiscutibilmente essere accessibili a tutti, altrimenti l'educazione diviene una "mostruosità" se è privilegio di pochi.

Dopo la pubblicazione di questo "Manifesto dei plebei", Babeuf viene incriminato ancora una volta con l'accusa di diffondere l'anarchia e il disordine sociale nella Repubblica. La sua vita diviene un entrare ed uscire dallo stato di clandestinità: in penombra, senza uscire troppo allo scoperto, riesce comunque a difendersi da queste accuse e nega che l'anarchia sia un sinonimo della disorganizzazione. Se davvero deve essere costretto a portarsi dietro il marchio dell'anarchico, Babeuf ne fa una sponda per spiegare i diritti veri dell'uomo e di tutti i cittadini che si vedono privati della vera felicità e lasciati a viverla solo e sempre sul piano ideale, in pratica a sognarla.

Bonaparte e il Direttorio cominciano a sussultare e il 24 Febbraio del 1796 danno ordine di chiudere il circolo dove viene letto dal babuvista Darthè il giornale comunistico di Babeuf. Il Club del Pantheon chiude i battenti e il 16-17 aprile dello stesso anno viene proclamata una legge marziale che colpisce la libertà di stampa.

Babeuf viene arrestato con Buonarroti e subirà un processo da parte dell'Alta Corte: siamo ormai nei primi mesi del 1797 quando inizia l'assise processuale a Vendome. Il patibolo lo attenderà il 27 Maggio. L'ispiratore della Congiura degli eguali e del neonato comunismo utopistico sarà il precursore di molti altri tentativi di attualizzazione della giustizia proletaria nel corso dell'800. Bisognerà attendere il "Manifesto del Partito Comunista" per cominciare ad avere una precisa dimostrazione dialettica del rapporto tra oppressi ed oppressori e, poi, "Il Capitale" per averne una ancora più pulita e nitida visione scientifica e materialistica. La felicità di Babeuf diviene, così, la grande aspirazione di milioni e milioni di proletari davvero di tutto il mondo.

Marco Sferini
Gennaio/Febbraio 2005