Una passione "eretica" per il Comunismo: Livio Maitan

In memoria di un intellettuale organico

La passione, anche quella politica, non è purtroppo un magico autogeneratore di vita. Se fosse così, oggi Livio Maitan sarebbe ancora tra noi, tra le sue carte e i suoi libri cercando di terminare la storia della Quarta Internazionale: uno scritto a cui teneva molto e sul quale aveva dato, pochi giorni or sono, precise indicazioni ad alcuni compagni affinchè potesse trovare la degna conclusione. Aveva intuito che non gli restava molto tempo e, anche se quasi alle porte della finitudine,Livio Maitan i suoi ultimi sforzi li ha dedicati interamente a quella storia. La storia di una eresia di sinistra, fondata su valori di liberazione del comunismo e del marxismo dalla tela vischiosa di putrido dogmatismo che aveva avvolto le speranze di tanti milioni di sfruttati in un terribile gioco al massacro da parte di chi campeggiava dietro le bandiere rosse e, al contempo, proclamava che solo una parte del mondo, o meglio un unico stato, poteva edificare e vivere nel socialismo.

Livio Maitan vive giovanissimo la passione comunista che durerà tutta la vita, e la assume in sè come cardine libertario, leva motrice di una rivolta verso il "comune sentire" del sovietismo stalinista e brezneviano, come essenza di quel grandioso patrimonio libertario elaborato e sospinto dai socialisti scientifici.

L'utopia non si addiceva a un comunista come Livio Maitan. Semmai gli si confaceva perfettamente un ostinato pragmatismo che lo ha, molto spesso, condotto a battersi in modo radicale, prendendo, come sosteneva Marx "le cose alla loro radice". Afferrare ogni dubbio e disarticolarlo con le armi della dialettica e dello studio, il suo continuo compagno di cammino che ci proponeva in forma elaborata nei suoi interessanti articoli sulla Cina e la sua "trasformazione inversa" (dal collettivismo maoista al neocapitalismo di Deng e dei burocrati del Partito comunista cinese, Hin Tao compreso, nuovo signore dello sterminato stato che fu di Gengis Khan), nonchè con lo sguardo rivolto a quella che considerava una nazione importantissima per l'evoluzione in senso anticapitalista del continente asiatico: l'India. La giudicava però meno "preparata" della Cina, un motore non di riserva per le speranze del proletariato dell'Asia, il suo era semplicemente un giudizio dato sulla base dello studio delle economie di Nuova Delhi e Pechino. Che l'India sia tutt'altro che una riserva lo ha dimostrato lo svolgimento del Forum mondiale di Bombay, e questo Maitan lo sapeva bene.

Il suo metodo di studio ha sempre comportato una pazientissima osservazione dei fatti, ascoltando sempre prima di parlare, evitando facili giudizi e prese di posizione abbarbicate solamente sulla voglia di dare, in qualche modo, fiato alle trombe. Questo Livio Maitan lo ha lasciato fare ad altri: i testi da lui scritti, anche le semplici e numerose prefazioni redatte per altri testi, sono un confronto (scontro, sovente) con le ipotesi, analisi e deduzioni altrui.

Ricordo che tanti anni fa comperai un piccolo manuale di Ernst Mandel, studioso, filosofo (di tendenza trotzkista) francese: un libricino chiamato, per le sue dimensioni, il "mandellino". Era l'"Introduzione al marxismo". Mi serviva un mezzo che io consideravo "primordiale" per poter addentrarmi meglio, in seguito, nel pensiero e nella scienza di Karl Marx. Il libro aveva una prefazione di Livio che precisava come quel testo fosse ormai tendenzialmente datato, ma che ogni opera, nella sua contestualizzazione, può farci ben comprendere ciò che vogliamo sapere dell'oggi, essendo anche essa il prodotto di una trasformazione sociale.

una recente foto di Livio MaitanE così ha operato Maitan, osservando attentamente il futuro e l'evoluzione di partiti politici, generazioni, stati e continenti, ma rimanendo sempre ben ancorato alla lotta particolare per l'espansione della Quarta Internazionale e per una ferma condanna di ogni fenomeno novecentesco claustrofobicamente inseritosi nella battaglia per il superamento del capitalismo e, con l'impegnato aiuto della borghesia d'ogni paese, stereotipato nel "vero comunismo", foriero solo di vittime innocenti e di stragi.

Per tutta la sua esistenza Livio ha studiato con millimetrica precisione mentale le sempre poco piacevoli rivoluzioni della borghesia, preordinatrici di cambiamenti violenti verso interi popoli in lassi temporali non determinabili con l'ausilio di geometriche linee di confine di una storia o di un'altra. E per tutta la sua vita politica, ha scelto di rimanere sempre vicino ai soggetti cui sentiva di fare riferimento nel complesso e complessivo quadro della lotta di classe: gli operai, i proletari in generale. Anche in questi casi andava davanti ai cancelli della Fiat a Mirafiori non per insegnare qualcosa, ma per sentire le voci di quei lavoratori e per verificare dove li stesse portando un determinato ciclo produttivo, atto delle politiche economiche confindustriali nazionali e transnazionali.

Il dinamismo era la sua espressione più viva di militante comunista, di dirigente che non ha mai pensato di scalare alcunché, di primeggiare o di inserirsi nei cunicoli dell'arrivismo caleidoscopico: dal nero al rosso, dal rosso al rosa, dal rosa all'azzurro. È passato per partiti diversi, ma accomunati da un filo di rosso colore: una giovanile adesione al PSI ed alla FGSI e poi l'ininterrotta strada di adesione al trotzkismo. Dalla Lega Comunista Rivoluzionaria (sezione italiana della Quarta Internazionale) Maitan passò nelle fila di Democrazia Proletaria, il partito di cui furono segretari Mario Capanna, Giovanni Russo Spena, e che stava "a sinistra del PCI". Una scelta perdente, disse qualcuno. Ma chi può dire realmente cosa oggi rappresenti la sconfitta e cosa la vittoria? In potenza siamo tutti vincitori. Ma in atto no: e per far sì di trovarsi in condizione di vittoria anche in atto, occorre preparare bene l'iter politico, lo sviluppo sempre necessario della coscienza critica verso il capitalismo. Quando DP si sciolse e confluì nel nascente Partito della Rifondazione Comunista (1991), Maitan partecipò al nuovo progetto politico, trovandosi accanto a compagni come Armando Cossutta che, decisamente, provenivano da tutt'altra storia del comunismo italiano ed internazionale. Per dirla in due parole: stalinisti e trotzkisti si ritrovavano nel PRC insieme.

Non deve essere certo stato facile affrontare una militanza di questo tipo. Non lo fu neppure per me quando, appena iscritto, mi accorsi che un buon tasso di stalinismo viveva, a volte vegetava, ancora nel nuovo partito comunista. Per questo all'ultimo congresso la condanna dello stalinismo venne salutata dalla stragrandissima maggioranza degli iscritti come la rimozione di una palla al piede del Comunismo, una necessaria demarcazione storico-politica, capace di permettere a tutti noi, nel rispetto della differenza di idee, di proclamarci comunisti o, per meglio dire, "neo-comunisti". All'edificazione di questi nuovi comunisti, liberi dal "peccato", Livio Maitan ha contribuito in maniera determinante: senza la sua ostinata, quotidiana, ripetitiva affermazione di un Comunismo inconcepibile con tutto ciò che avesse, che ha a che fare con la violenza e la coercizione singola o di Stato, oggi noi saremmo sempre in bilico tra sterili e puerili forme di dogmatico pensiero impensato.

Ed anche quando il Partito subì la più dolorosa scissione, quella cossuttiana del 1998, Maitan non prese a drammatizzare, ma a guardare con ottimismo (e con comprensibile cautela) ad un "rinascimento" di Rifondazione Comunista. Diceva allora: «Cossutta afferma di non essere Crucianelli. Poteva essere più rispettoso verso la persona. Ma la sostanza non muterebbe: collocandosi, come ha fatto, nello spazio tra noi e i DS, come potrà delineare una politica di fase e una strategia senza andare nella direzione imboccata prima di lui dai Comunisti Unitari? A noi resta il compito arduo di costruire quella alternativa socio-economica e politico-culturale che è la ragion d'essere di una rifondazione comunista». Così come abbiamo sempre cercato di operare.

A Rifondazione Comunista ha lasciato il messaggio imprescindibile di valorizzazione delle esperienze giovanili e dei giovani stessi nel Partito (decise di rinunciare, alla fine dell'ultimo congresso, a far parte della Direzione Nazionale in favore di Flavia D'Angeli, per l'appunto giovane e comunista) e un grande bagaglio di costruzione di una nuova cultura del Comunismo che, sono certo, anche chi come me non è trotzkista saprà valorizzare. Ciao Livio.

Marco Sferini
Settembre 2004