Stalinismo, mortificazione del comunismo

Un'azione tesa ad abbattere Marx

Una rivoluzione vincente non significa che la linearità dei princìpi ha vinto e che, per questo, le battaglie che si sono combattute avranno come effetto l'applicazione totale ed imperturbabile dei novelli modi di vita. Fu così per grandi battaglie rivoluzionarie: prima fra tutte quella francese che permise alla sofferente borghesia parigina di sollevare il capo contro l'ottusità oscurantista di chiesa e nobili. Il risultato fu un passo in avanti verso conquiste civili di grande importanza (si pensi alla "costituzione civile del clero" che sarà una felicissima intuizione di separazione dei ruoli tra lo Stato e la Chiesa, o si pensi ancora all'abolizione della schiavitù dei negri d'Africa nelle colonie francesi, oppure ancora alla sola Costituzione che divise il potere assoluto tra il re Luigi XVI e l'Assemblea nazionale) e, al contempo, la nascista di espansionismi continentali quali quello napoleonico.

Fu così, meno di cento anni prima, anche per Oliver StalinCromwell che non permise alla borghesia rurale e cittadina inglese di poter alzare la testa, ma che impiegò il "new model army" soprattutto per schiacciare la potenza della Repubblica delle Province Unite (leggasi "Paesi Bassi"), facendo dell'Inghilterra una dominatrice dei mari, erede di un dominio talassocratico che, fatte le dovute proporzioni, aveva avuto solamente la Serenissima Repubblica di Venezia.

E così è stato per l'Ottobre rivoluzionario: il celebre "assalto al cielo" ha portato con sè un enorme valore aggiunto di pace, solidarietà e stravolgimento della distribuzione della ricchezza rispetto al medioevo zarista. Lenin, da acuto osservatore e scienziato della politica, aveva compreso appieno che la Russia doveva necessariamente sviluppare sè medesima verso un'economia non di piano, ma di mercato per poi poter più felicemente transitare ad una compiuta elevazione socialista del proprio popolo. Ma cosa avrebbe socializzato un paese enorme, affamato e scarnificato come l'Impero russo postbellico? Tutto era da ricostruire: a cominciare dalla questione delle nazionalità interne che, caduto il centenario centralismo di Pietrogrado, venivano fuori come funghi impazziti. Le regioni orientali si proclamavano autonome prima ed indipendenti successivamente, così accadeva per sterminate regioni della Siberia e non di meno per le province più europee come Bileorussia ed Ucraina.

Stalin, che era georgiano, ebbe proprio da Lenin l'incarico di "commissario" delle nazionalità nel governo sovietico e di questo si occupò con un rispetto estremo per i popoli del nuovo stato bolscevico. Un rispetto che sarebbe venuto meno presto, purtroppo. Quando nel 1924 Lenin morì, il potere era così fragile e frammentato che la "successione" di Lenin fu tormentata da omicidi, epurazioni e congiure incrociate, volte all'eliminazione sistematica di molte correnti del Partito Comunista dell'URSS. Toccò a Kirov, a Bucharin e poi, più tardi, la morte comandata da Stalin raggiungerà il fondatore dell'Armata Rossa, Lev Trotzky.

Con la scomparsa dei possibili contendenti il potere sovietico, Stalin ebbe in mano il comando dell'Unione Sovietica. La precaria vita sociale di milioni e milioni di russi non era certo aiutata nè dall'idea che Josif Vissarionovic Djugasvili ebbe, ossia di abolire la "nuova politica economica" varata da Lenin (che aveva come obiettivo la costante transizione dal regime prettamente latifondista del paese a quello più moderno della merceologia capitalistica) e di creare degli obiettivi di medio termine (i c.d. "piani quinquennali") sul presupposto del tutto estraneo al marxismo secondo cui, nell'impossibilità di estendere la rivoluzione in tutto il mondo, il socialismo poteva essere creato anche in "un solo paese".

Fu questo il primo passo per una profonda opera di mortificazione di Marx, Engels e del loro studio scientifico del capitale, nonchè delle loro elaborazioni in merito ad un superamento del sistema capitalistico. Se nel campo dell'azione politica interna Stalin dirigeva l'URSS con una intransigenza del tutto personalistica e cesarista, sul fronte della diffusione della cultura, sempre in relazione alla trasformazione socialista dello Stato, Stalin riuscì anche a falsare molte parti de "Il Capitale", l'opera monumentale di Karl Marx che disarticolava il capitalismo e ne dichiarava l'impossibilità ad essere una società imperitura.

Stalin, manipolando accuratamente la propaganda, creò una aberrante simbiosi tra nazionalismo e comunismo che sarà (diamo a Cesare ciò che è di Cesare) utile almeno quando i soldati saranno chiamati a respingere l'operazione Barbarossa (l'invasione hitleriana della Russia) a poche decine di chilometri da Mosca. Il periodo da commissario delle nazionalità era definitivamente tramontato: Stalin non sognava più alcun internazionalismo proletario, ma aveva nel 1943 dichiarato morta anche la Terza Internazionale e abolito addirittura "l'Internazionale" come inno ufficiale dello Stato sovietico.

Le discussioni che avvengono nei salotti del nostro Stalin"civile" occidente, ci parlano sempre e solo dei crimini staliniani: gulag, deportazioni di ceceni e kulaki, e tentano una impossibile equazione tra stalinismo e nazismo. Qualcuno ha definito Hitler e Stalin "dittatori paralleli". Non è chiaramente possibile dare una equipollenza al fenomeno nazionalsocialista ed a quello bolscevico. Intanto si tratta di ambiti storici che nascono in decenni profondamente differenti fra loro: il 1917 non è il 1933 (anche se l'ascesa del partito di Hitler risale a qualche anno prima) e, comunque, il ruolo avuto dall'Unione Sovietica non è paragonabile al sottobosco di cieco fanatismo xenofobo e primeggiante della Germania nazista. Lo stalinismo, infatti, per quanto sia stato una vera e propria palla al piede per il comunismo, ha rappresentato un elemento storico di innovazione per i popoli dell'URSS: se è infatti evidente che la crescita dell'industria pesante e bellica non ha condotto alla realizzazione del socialismo, quanto ad una contrapposizione sempre più accentuata tra est ed ovest del mondo, è parimenti vero che la statalizzazione dell'economia e la sua pianificazione ha permesso quell'uscita dal medioevo da parte dei russi e delle altre popolazioni dell'Unione Sovietica. Il nazismo non ha mai avuto con sè la volontà di "liberare" in qualche modo il proprio popolo dai bisogni impostigli dal capitalismo, ma ha sempre e solo cercato la via della supremazia tedesca ed ariana attraverso l'espansionismo territoriale e la distruzione di interi settori sociali.

In sintesi: non si può mettere sullo stesso piano stalinismo e nazismo poichè il primo proviene da un grande afflato di liberazione (soffocata proprio dalla crescita sempre più ampia della figura egemonica di Stalin), mentre il secondo è la semplice esaltazione di una società che avrebbe dovuto essere in qualche modo "superiore" e quindi esclude a priori l'egualitarismo tra gli uomini. Neppure l'incrocio tra nazionalismo e comunismo (la "grande guerra patriottica"), invocato per salvare la "Madre Russia" dall'occupante alemanno, ha inferto alla causa del socialismo un colpo così duro da liquidare tutto il patrimonio lasciato in eredità da Lenin e dagli altri padri bolscevichi.

Stalin tradì il comunismo, abbandonò il marxismo e fece dell'URSS un vero e proprio impero quando giganteggiò nel voler espandere i confini dello Stato sino alla spartizione della Polonia (patto Molotov-Ribbentrop), o all'invasione dei Paesi Baltici, o ancora all'attacco alla Finlandia, resistente attraverso gli abili uomini dell'esercito fatto prevalentemente di sciatori. Ma Stalin rese il progetto leninista un chimera travestita da realtà, nel momento in cui dichiarò impossibile l'esportazione della rivoluzione, e pose fine alla battaglia per una ricerca rivoluzionaria su scala planetaria. Ancora oggi non sappiamo bene se la corruzione ideale di Stalin sia stata dovuta ad un progressivo svilimento dei suoi ideali o se, piuttosto, sia stata portata avanti dalle spinte verso l'aquisizione di sempre maggiori fette di potere economico per l'URSS. Ma non per il suo popolo.

Le critiche alla Soldjenitzin le lasciamo ad Oriana Fallaci, a Giuliano Ferrara e agli occhialuti fettoprosciuttisti della cricca berlusconiana e fascista. Noi abbiamo voluto trattare in questo numero del nostro "Scaffale" un tema che non fa scalpore come i milioni di morti narrati dal "Libro nero del Comunismo", ma che, in conclusione, ci fa comprendere come sia ancora necessario essere comunisti oggi, un tempo in cui la scrittura di un "Libro nero del Capitalismo" sarebbe una stesura quotidiana di un bollettino di guerre, migliaia di morti per miseria, fame, bombe, sfruttamento.

Il Comunismo, per quanto ci riguarda, è ancora tutto da inventare e da creare a fronte di una società ineguale oggi, come non mai. Come ha scritto Eugenio Montale: «... non chiederci la parola... solo questo possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Non si riferiva al Comunismo, ma calza a pennello se qualcuno ci chiede: "come sarà il Comunismo".

Marco Sferini
Luglio 2004