Dopo la guerra... speranze e delusioni

I primi anni della Repubblica Italiana

da sinistra: Nenni, Ruini, Vernocchi, De Gasperi e Togliatti all'epoca del primo Governo De Gasperi nel periodo dal 10-12-1945 al 13-7-1946Non è affatto semplice poter scrivere in questa rubrica anche solo "alcune cose" dal e del 1945-46 in poi: questa "puntata" del nostro "Scaffale della Storia" la vogliamo dedicare ad un veloce attraversamento panoramico degli anni che seguirono il secondo conflitto mondiale.

È la notte del 24-25 aprile 1945 quando il Comitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia (CLNAI) lancia il famoso messaggio: «A tutti i comandi zona. Stop. Aldo dice 26 x 1. Stop. Capi nemici e fascisti in fuga. Stop». È l'ordine dell'insurrezione armata partigiana dalle montagne alla pianura. Le brigate partigiane occupano Torino, Milano, Genova (Savona è libera già dal giorno precedente), Bologna, Bergamo, Brescia, Venezia. La marea antifascista stringe d'assedio le briciole di fascismo che sono asserragliate nei pressi del Lago di Como. Mussolini ha abbandonato tutto e fugge con Claretta Petacci e i suoi fedelissimi verso la neutrale Svizzera. Mussolini sa che quella è l'unica via di salvezza che gli rimane. Alle sue spalle non resta solamente un Paese fatto di macerie materiali e morali. Dietro di sè il Duce del fascismo vorrebbe, ma non può, lasciarsi anche la dittatura ventennale e magari ricominciare una nuova vita. Sono ore concitate: i membri del Comitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia si dividono sul da farsi. C'è chi vorrebbe consegnare il dittatore agli inglesi e chi invece spinge verso una soluzione processuale italiana. Ma sulle diverse impostazioni che i capi partigiani vedono possibili, si impone di più la "sorte". Secondo gli ordini del CLNAI, solamente i tedeschi hanno libertà di passaggio ai valichi di frontiera. Per i fascisti c'è l'arresto e la pena di morte manu militari se capi del regime o criminali di guerra. È per questo che il Duce indossa un cappotto lungo da soldato tedesco e tiene fra le mani un fucile su quel camion che lo sta conducendo in Svizzera. È diverso dagli altri soldati: non mostra il viso e quando i partigiani del colonnello "Valerio" (nome di battaglia di Walter Audisio, partigiano delle brigate comuniste "Garibaldi") fermano la colonna alemanna, si accorgono di quel soldato che non parla, che tiene chino il capo e che gli altri "commilitoni" dicono essere ubriaco... Il sospetto che tra di loro si nasconda il fondatore dell'Impero diviene concretezza quando un partigiano corre da Valerio e gli dice sottovoce: «Ghè il Crapùn!». Le ultime ore di Mussolini sono ancora cariche di tensione. Claretta Petacci insiste per seguire il suo "Ben" e, nonostante Valerio e gli altri partigiani le intimino di farsi da parte, decide di condividere la sorte fatale cui va incontro il dittatore.

De Gasperi parla al Congresso degli Stati Uniti d'America in una tavola a colori dell'epocaRacconta Valerio che al momento di "tirare", gli si inceppò il mitra: racconta che Mussolini fu ancora più atterrito quando l'arma non sparò. La sua rassegnazione alla morte doveva tornare all'apice per una seconda volta, e non è certo facile morire due volte. Il partigiano Pietro diede il suo mitra a Valerio e così la si fece finita con un tiranno sanguinario, con un ventennio di terrore, diarree da olio di ricino, bastonate, incendi e soprusi di ogni tipo. La si fece finita soprattutto con la dimenticanza di cosa potesse significare essere liberi: di parlare, di sentire, di scrivere. Ma soprattutto di avere ancora una volta del pane bianco, senza fili di paglia in mezzo, senza più "bollini" e tessere con cui andare a raccattare dal macellaio delle misere frattaglie, mentre il Prefetto e il Podestà fascisti si sbaffavano arrosti e abbacchi circondati da meretrici dell'ultima ora, create più dalla fame che dalla voglia di concupire quei personaggi in abito nero, trasformati in burattini da baraccone da un ex socialista di Predappio.

La Repubblica Italiana fu il secondo atto di Liberazione nazionale: Casa Savoia era arrivata al suo capolinea. Vittorio Emanuele III aveva troppo tardamente lasciato il trono all'erede Umberto, il "re di Maggio" (detto così poichè governò solamente un mese come re d'Italia). Il giovane Umberto e la consorte Maria Josè (tanto rivalutata in questi periodi di potere berlusconiano...) si consolarono magramente con la speranza di veder trionfare il continuismo monarchico dalle urne: niente da fare. La repubblica vinse per poche centinaia di migliaia di voti. Ma come si dice... anche per un punto solo... Umberto "perse la capa!".

Con la proclamazione della Repubblica e l'assunzione dei poteri da parte da un lato dell'Assemblea Costituente e dall'altro del Capo provvisorio dello Stato, l'avvocato napoletano e monarchico Enrico De Nicola, ci si portava sulla via di un nuovo regime statale: parlamentare, di spirito democratico e che vedeva nella stesura della Carta costituzionale la partecipazione di tutti i partiti del cosiddetto "Arco costituzionale": ossia di tutti i partiti antifascisti. Democrazia Cristiana (ex Partito popolare di Don Sturzo) con De Gasperi, Partito Comunista Italiano con Togliatti, Partito Socialista Italiano con Nenni, Socialdemocratici, Repubblicani e Giustizia e Libertà. Restava fuori il neofascista Movimento Sociale Italiano del massacratore di partigiani Giorgio Almirante, grande padre politico dell'attuale vicepresidente del Consiglio, l'acquatico trasformista nero Gianfranco Fini.

Sono 139 gli articoli della Costituzione che viene ad essere la Legge fondamentale dello Stato il 1° Gennaio 1948: vi sono poi anche delle Disposizioni "transitorie e finali" che hanno il compito di traghettare il diritto precedente a quello nuovo tramite la stessa Costituzione. I Padri Costituenti hanno fatto un ottimo lavoro che, purtroppo, oggi è giù più volte caduto sotto la mannaia del volontarismo presidenzialista berlusconiano e, precedentemente, è stato violentato e vilipeso dalle partecipazioni ad operazioni belliche dell'Italia senza che questa sia stata aggredita, oppure dal comportamento poliziesco e delle Istituzioni alle giornate di Luglio del 2001 a Genova. In realtà la Costituzione della Repubblica Italiana è un capolavoro di ingegneria del diritto, ma non ha mai trovato vera applicazione: la Repubblica è fondata sul lavoro? favorisce la cultura? tutela i deboli? ripudia la guerra? Sono tante le domande che mi vengono alla mente e che fanno della Carta un libriccino regalato agli studenti tanto per dire: guardate, qualcosa di buono l'abbiamo scritto, ma non illudetevi...

una cartolina che pubblicizza il piano di aiuti americani all'EuropaSono anni, quelli dopo il 1945 di terribile desolazione per la giovane Repubblica: la fame persevera in ogni parte della nazione. Il lavoro è una chimera e gli americani stanno mettendo il loro gigantesco piede sul suolo italico con tanto di basi per sbarrare la strada a possibili "interferenze" da parte dei comunisti e del blocco sovietico. Il "piano Marshall" è una svendita dell'Italia alla Repubblica stellata: in cambio di un pò di derrate alimentari si accomodino pure esercito e marina statunitense: fioriscono le extraterritorialità della NATO e affannano i governi unitari a gestire la situazione. Gli anni '50 vedono una progressiva ripresa economica, del resto immaginabile dopo le distruzioni totalizzanti della guerra appena trascorsa. L'importazione della violenza culturale (?) degli USA arriva non solo con il ballo, ma anche con l'imposizione di un nuovo modello di vita economico che è completamente diverso sia all'autarchismo mussoliniano che al liberalismo giolittiano.

C'è un soggetto politico che riesce a mettere profonde radici di massa nel Paese: è il Partito Comunista Italiano (PCI) che surclassa i socialisti riformisti del PSI e che, con la DC di De Gasperi e Andreotti, è il vero partito di massa. "Una sezione per ogni campanile", aveva detto Togliatti. E così fu: dai 3.000 scarsi membri clandestini del Partito Comunista all'epoca centrale del fascismo, si passò presto al milione di iscritti e a quasi nove milioni di voti.

La storia di questi anni è storia di luci ed ombre sul futuro della Repubblica: ogni tanto qualcuno parla di possibili colpi di Stato, qualcun'altro fa della Massoneria un luogo di antistato, di reclutamento anche armato. Scopriremo decenni e decenni più tardi che una struttura paramilitare chiamata "Gladio" era pronta ad intervenire per impedire in qualsiasi momento di far sì che i comunisti potessero avere il governo, anche democraticamente eletto, del Paese: una sorta di Cile, praticamente, del 1973.

In mezzo a queste ossessioni della politica, lo Stivale resta diviso in due: da un lato il "triangolo economico" di Milano, Torino e Genova prende a sviluppare un'economia florida grazie alla FIAT, al porto della Superba e ai varii Motta della situazione (diventati democratici dopo la mezzanotte del 25 Aprile...), mentre a Sud sorge quella che Gramsci aveva definito "la questione meridionale". Il bracciantato è un arma schiavistica per i latifondisti campani, calabri, pugliesi e siciliani. Un grande sindacalista della CGIL, un grande comunista, Giuseppe Di Vittorio farà lotte memorabili per migliorare le condizioni di vita dei contadini: povera gente di campagna che si levava la coppola davanti al padrone che passava. Dopo Di Vittorio non se la leveranno più.

da sinistra: Nenni, Ruini, Vernocchi, De Gasperi e Togliatti
all'epoca del primo Governo De Gasperi nel periodo dal 10-12-1945 al 13-7-1946
De Gasperi parla al Congresso degli Stati Uniti d'America in una tavola a colori dell'epoca
una cartolina che pubblicizza il piano di aiuti americani all'Europa
immagini tratte da Storia della Repubblica Italiana di Giorgio Bocca edito dalla Rizzoli
L'Italia vive in un'Europa che vuole cominciare a guardare alla costruzione di un "mercato comune", ma che è spaventata dalla prepotenza americana e, dall'altra, dalla separazione in due blocchi del Continente. Tutte le idee di Europa fuoriuscite allora sono state puntualmente travisate (volutamente) per dare vita ad un gigante dai piedi d'argilla: l'Unione Europea odierna si regge solo su una moneta e impone ai suoi "popoli" politiche economiche da liberismo selvaggio, con rimproveri severi per chi non taglia le pensioni, i salari e non rende mobile e sempre più precario il lavoro.

Non era questo che molti Padri Costituenti volevano, anche quelli dell'Europa postbellica, ma di questo e di altre delusioni della storia avremo modo di parlare in seguito.

Marco Sferini
Maggio 2004