Sarò Franco

La necessità di associare la nonviolenza ad un radicale cambiamento della società

Caro Franco,
spero che questo sia un buon anno per il nostro partito e per questo nostro sito, dove anch'io "abito" e dove, soprattutto, leggo "ascolto" ed imparo. E dunque a Te, che hai deciso di aprire questa rubrica di dialogo con i lettori, espongo più che i miei, i dubbi di un mio cugino-amico, compagno-partigiano.

Io, ogni volta che ascolto o leggo Bertinotti mi identifico in lui, in cio' che dice (e propone) e in come lo dice; spesso ho la quasi certezza che nessun altro, in questo periodo, meglio di lui sarebbe in grado di parlare (ed agire) nel nome dei più deboli e di chi ha comunque scelto di stare dalla parte di questi "deboli". Ma il "mio", saggio e colto, amico-cugino-compagno-partigiano fa sorgere in me qualche dubbio, che vorrei Tu tentassi di sciogliere. Dice lui: «Bertinotti dovrebbe leggersi quei resoconti sugli ustacia croati e le torture che hanno fatto ai partigiani jugoslavi! Robespierre diceva che le uniche vittime del terrore erano i milioni di contadini morti di fame sotto il potere del Re».

I partigiani, o almeno una parte dei partigiani, si sono sentiti quasi "traditi" dagli ultimi discorsi di Bertinotti, dalla sua visone (o meglio revisione) della nostra storia e del nostro avere agito. E così mentre molti ragazzi giovani, che si sentono parte integrante di quell'insostituibile "movimento dei movimenti", guardano al nostro partito come all'unico partito "possibile", altri vecchi "ragazzi" stanno ipotizzando la possibilità di prendere le distanze da noi.

Non so tutto questo che significato possa avere, così come non so se questi siano solo dubbi nati in me, o se siano invece dubbi reali.

Grazie per la Tua franchezza e... buon lavoro.

Elisabetta Caravati

Cara Elisabetta,
un gruppo di partigiani italianiti ringrazio molto per gli auguri che fai al nostro Partito ed al nostro sito provinciale. Ne abbiamo proprio bisogno: gli appuntamenti e le lotte che ci aspettano nel prossimo futuro sono davvero molto impegnative.

Innanzitutto non può che fare molto piacere il fatto che anche tu condivida le parole e l'azione del nostro Segretario Nazionale, identificando in questo lo sforzo complessivo del PRC nella scelta di stare dalla parte dei più deboli, sostenendone l'orientamento di fondo.

Non c'è dubbio che gli ultimi interventi di Bertinotti abbiano aperto una forte discussione, dentro e fuori il partito, come testimoniano le numerose lettere apparse su Liberazione e sul Manifesto, oltre agli interventi (spesso per la verità superficiali e semplificatori) di diversi editorialisti, sui più svariati quotidiani nazionali. Come vedi non è solo il tuo saggio e colto amico-cugino-compagno-partigiano che si interroga ed avanza dubbi al riguardo.

Ad un "vecchio" obiettore di coscienza come me, tra i primi a scegliere di percorrere questa strada nel territorio provinciale savonese, e che dalla fine degli anni '70 s'interroga sulla nonviolenza (da scrivere e praticare senza trattino divisorio) e su come sia possibile associare tale scelta alla volontà e necessità di un radicale cambiamento della nostra società, questa discussione, sfrondata da ogni strumentalizzazione, sembra molto interessante.

Ho anche avuto la fortuna di conoscere molti partigiani (a cominciare da mio padre) e molti rivoluzionari (in particolare in America Latina: dal Salvador, a Cuba, al Nicaragua) e mi è parso di capire da quasi tutti loro (non so se è così anche per il tuo caro cugino) che l'uso della forza, della violenza, nella loro vita e nelle loro battaglie, sia sempre stata considerata come una riluttante e forzata necessità del momento tragico vissuto (una violenza subita prima che attuata). Violenza come ultima "ratio", come ultima spiaggia, a cui dover ricorrere, affinché nuova violenza, nuove guerre, nuove dittature, non avessero mai più a ripetersi.

il leader sandinista Daniel OrtegaPersonalmente mi ha colpito molto proprio la rivoluzione sandinista (pur coi suoi successivi fallimenti) e l'esperienza in alcune zone liberate e sotto il controllo del Frente Farabundo Martì, negli anni '80, in Salvador: l'intreccio tra rivoluzionari "classici" ed esperienze di comunità di base nonviolente (e non per questo meno rivoluzionarie) lì, in alcuni significativi casi, è stato davvero intenso e fruttuoso.

Non vorrei però che si ingenerasse un fraintendimento (forse anche da alcuni voluto): proprio da quelle esperienze, ma anche da quanto tramandatoci dai vari Oscar Arnulfo Romero, Martin Luther King, o dallo stesso M. Gandhi, la nonviolenza non risulta mai associata o associabile alla codardia, alla remissione. Ho imparato che, per un vero nonviolento, è molto meglio il ricorso alla ribellione, anche violenta, che non l'arrendevolezza e la vigliaccheria.

Nessuno di noi naturalmente vive in un mondo idilliaco, utopico ed irreale, ma se penso alla costruzione di un modello socialista e comunista penso ad un mondo in cui, oltre all'ingiustizia, anche la violenza sia espunta e credo anche che ci debba essere una connessione tra il fine che si vuole raggiungere ed i mezzi adoperati per ottenere tale fine, compatibilmente, naturalmente, con la situazione storica in cui ci si trova.

un gruppo di partigiani italiani in azione
da www.anpi.it
il leader sandinista Daniel Ortega
foto Ed Kennedy III
Personalmente non mi sento un vero e proprio nonviolento ma, comunque, ritengo che, di fronte alla violenza devastante esistente, l'uso di strumenti nonviolenti - dallo sciopero, alla non collaborazione, all'aperto boicottaggio, all'obiezione di coscienza (quanti pochi ad esempio siamo ad esercitare obiezione fiscale alle spese militari!)-, molti dei quali, peraltro, sono da sempre strumenti classici delle lotte operaie, possono essere, nella situazione storica data, molto efficaci e coinvolgenti.

La classe operaia ha storicamente, certamente, soprattutto subito violenza e quando ne ha fatto uso lo ha fatto essenzialmente per difendersi. Confrontarsi oggi però, nella nostra realtà, grazie anche e soprattutto alle lotte di chi ci ha preceduto, sulla possibilità di costruire un mondo migliore e comunista affidandoci a strumenti popolari e nonviolenti, mi pare interessante e non sicuramente liquidabile come "revisionismo".

Grazie e buon lavoro anche a te.

Franco Zunino
Savona - Febbraio 2004