Racconti di case

Racconti di case
Rosengela Pesenti
Junior
€ 17,00
pag. 288

Presentare il bello importante ponderoso (quasi 300 pagine intense) libro di Rosangela Pesenti, non è impresa facile, perché l'originale ricerca si presenta sia con tutti i requisiti scientifici e accademici a posto, sia con un apparato critico di tutto rispetto, ma soprattutto come libro essenzialmente di teoria politica applicata: e questo è raro. Né viene per lo più riconosciuto, né citato. Massimamente se chi scrive è donna.

Una delle ragioni per le quali le donne ancora non hanno storia è che persino le istituzioni culturali presumibilmente avanzate e spregiudicate, cioè prive di pregiudizi, quando si tratta del lavoro di una donna lodano le qualità esornative compilative aggiuntive, non l'impostazione. Peggio poi se - come in questo caso - l'impostazione non è affatto prevedibile e/o ripetitiva.

Tutte queste qualità utili a incontrare difficoltà, nel libro di Rosangela ci sono: sicché proprio su queste voglio soffermarmi.

Non senza aver prima lodato anche la raffinatezza editoriale, rappresentata innanzitutto dalla copertina disegnata da Rosangela stessa con quel suo stile figurativo fatto di pezzi di stoffa, ritagli, rammendi, patchwork, che ben conosciamo.

Già quel che ho detto finora farebbe dell'opera un evento inconsueto e godibile: ma ancora non abbiamo nemmeno aperto i "Racconti di case", che ci trasmettono "il linguaggio dell'abitare nella relazione tra generi e generazioni". Questo il titolo del lavoro e scusate se è poco.

Rosangela Pesenti dà qui conto di un’accurata curiosa coinvolgente ricerca in "casa d'altri", eseguita in due tempi, con verifica precisa, garanzia, non contestabile sotto il profilo scientifico, ma soprattutto davvero capace di avviare così un linguaggio politico dell'abitare.

L'innovazione teorica è netta, precisa. La mole dei dati non è -come di solito- una specie di peso aggiunto per mostrare la quantità del lavoro (anche, va da sé), ma rivela una intrinseca necessità, dato che si racconta un universo complesso molteplice come è un linguaggio.  Composto a sua volta anche dagli/dalle interlocutrici/ori, dagli sguardi curiosi dei bambini e bambine, dai ragionamenti che coinvolgono la storia delle case, la loro agibilità, la loro modificabilità.

E' noto che le donne trovano di solito le case già fatte e non possono decidere sulla divisione o assegnazione degli spazi funzioni ecc.: sicché la casa è la prima cosa, il maggior strumento e luogo di azione su dati esistenti, un esito di libertà condizionata o da conquistare nel tempo, nominare con le persone che la abitano, da raccontare con gesti nomi luci angoli cose da collocare, usi da fondare e mantenere-modificare, interpretare, trasmettere, vedere, mostrare.

Insomma una metafora politica della vita costruita diretta gestita nei limiti delle misure che ci determinano, il tempo, lo spazio, gli orari, i posti che ci circondano e che possono essere o diventare celle gabbie o domicilio.

Aver trovato il linguaggio dell'abitare è un contributo essenziale per costruire una alternativa allo stato delle cose presenti, ma non immaginata a parte, bensì costruita vissuta, dentro appunto tempi spazi reali, una impresa che può affrontare la crisi capitalistica in atto e traguardare oltre la presente barbarie verso una relazione così decisiva come è il linguaggio.

 

Lidia Menapace - Luglio 2013 (pubblicata su "Noi donne")

La casa siamo noi

Ci provò, nel 2003, Sandra Petrignani a scrivere di case con ottica di genere, scegliendo l'ambito che le è più congeniale: quello della letteratura, dando così alla luce La scrittrice abita qui, testo che fu definito "un po' pellegrinaggio e un pò seduta spiritica: questo libro porta dalla Sardegna di Grazia Deledda all'America di Marguerite Yourcenar, dalla Francia di Colette all'Oriente di Alexandra David-Néel, dall'Africa alla Danimarca di Karen Blixen, all'Inghilterra di Virginia Woolf. Un lungo viaggio in case - museo che, attraverso mobili e suppellettili, stanze e giardini raccontano la storia sentimentale delle più significative scrittrici del Novecento".

Più indagato nel femminismo nordamericano e nordico, il rapporto tra lo spazio privato costituito dalla casa che le donne e gli uomini abitano è stato invece scelto come terreno d'indagine inedito per l'Italia da Rosangela Pesenti, che ha significativamente intitolato il suo ultimo libro Racconti di case - il linguaggio dell'abitare nelle relazione tra generi e generazioni (edizioni Junior).

Non solo quindi lo spazio fisico, ma anche il tempo e l'intreccio dei corpi, della storia e delle storie trovano luogo in questa lunga e dettagliata ricerca che Pesenti sceglie di offrirci in lettura.

Come di consueto nella sua scrittura, che intreccia percorsi teorici e quotidiano, l'autrice spiega l'idea dalla quale nasce il libro :"Se penso all'origine di questa ricerca torno con la mente a un ricordo lontano nel tempo, quando ero una giovane donna dalla vita ingombra e i miei figli erano piccoli. Spesso rientravo da scuola tardi, dopo la fatica di una mattina in classe, il pomeriggio ai consigli o al collegio docenti e l'intervallo del pranzo occupato a correggere compiti e caricare lavatrici, mentre i bambini erano all'asilo. Tornavo stanchissima e trovavo sempre una fila di sedie allineate lungo lo spazio di passaggio dalla zona pranzo al salotto, cariche di cuscini, coperte, giochi vari: si trattava di un treno. Meccanicamente smontavo il gioco e infilavo le sedie sotto il tavolo prima di cominciare i miei traffici casalinghi per preparare la cena e apparecchiare la tavola. Alle loro proteste rispondevo che avevano tutto il salotto a disposizione, poltrone e seggioline solo per loro, costruzioni che stanziavano sul pavimento a lungo e muri su cui scrivere, quelle sedie servivano sotto il tavolo. Mi sentivo una madre disponibile e mi sembrava che non ci fossero spazi interdetti per i bambini, perciò la questione sedie era decisamente irrilevante. L'episodio si ripeté alcune volte, entravo e smontavo, finché un giorno mio figlio grande, cinque anni, mi disse con voce stupita e il viso alzato per raggiungere i miei occhi: "Ma è un treno, come fai a non vederlo!?". Mi guardavano entrambi con aria smarrita e non si trattava di un capriccio, era un treno.

Come facevo a non vederlo? Con quale diritto stabilivo che quelle si chiamavano sedie e non treno? Mi sono resa conto di colpo che si confrontavano in quel momento due visioni del mondo e io imponevo la mia con la forza e il potere di una posizione adulta che si autolegittimava in modo autoritario e culturalmente miope.

Loro sapevano vedere il treno e contemporaneamente le sedie quando le usavano per stare a tavola. Chi stabilisce l'uso e la funzione degli oggetti? Intorno a me ogni mobile, ogni cosa, stava nel suo posto 'naturale', quello che anch'io avevo introiettato in un percorso di crescita fatto di interdizioni e definizioni che dovevo semplicemente apprendere, alle quali mi ero adattata finché la sistemazione del mondo non era diventata un'abitudine del corpo e una forma della mente.

Ho pensato allora che venire al mondo significa sperimentarlo, conoscerlo, pensarlo in modo autonomo e non c'è bisogno di imposizioni perché i bambini apprendano i significati che noi abitiamo, inconsapevoli del nostro antico percorso di crescita. Ho capito che non mi chiedevano di adattare i miei pensieri ai loro, ma semplicemente di vivere nel mio modo, con le mie sedie, la scrivania, i compiti da correggere, accanto a quel loro tempo e spazio così diversi e così straordinariamente nuovi. Ho scoperto che forse anche la radice della democrazia sta proprio nel rinascere continuo della vita, che si apre a nuove opportunità perché vede le cose come noi non potremmo mai vederle e queste nuove visioni hanno diritto di abitare dentro le nostre case, le nostre istituzioni, le nostre città, i nostri sogni".

Se questo è l'esordio risulta chiaro come il libro ci conduce dentro al mondo privato delle case che Rosangela Pesenti ha visitato in oltre un anno di ricerca tenendo conto di più fattori: l'età, il genere, le interazioni tra chi abita. Le case come desiderio, le sue stanze come (anche) segnali di distanze, forma di pensiero, protagoniste di traslochi e quindi di cambiamento, elementi centrali e fisici della contrattazione tra generi e generazioni: tutte variabili che Pesenti intreccia, e districa, per farci ragionare sulla casa, e quindi su di noi, con occhi e pensieri nuovi e profondi.

Senza dimenticare che la casa non è solo un luogo privato. In una delle più belle e politiche canzoni di Gaber, il cantautore, (non a caso maschio), sosteneva che "nelle case non c'è niente di buono, quando la porta si chiude dietro a un uomo: c'è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l'unica salvezza".

Anche se è pur vero che la casa è stata (ed è) il luogo principale dell'emarginazione femminile l'autrice nel finale del testo propone un capovolgimento dello sguardo, e apre al cambiamento, alla rivoluzione che solo il femminismo riesce a immaginare: "La casa non è un oggetto architettonico, ma un organismo urbanistico, una parte costituente l'ambiente della sopravvivenza umana, un sistema di mediazione tra relazioni umane interne ed esterne, stabilisce tempi e modi di trasmissione e riproduzione favorendo il processo di osmosi tra stati diversi della materia vivente di cui anche gli umani partecipano, è il luogo che fonda l'economia, che è prima di tutto domestica. Se l'abitare propone nuove forme dello scambio e la casa viene riconosciuta come luogo di formazione di saperi, e non solo terminale di merci, l'energia richiesta dai ritmi del vivere può trasformarsi in risorsa diffusa e motore di cambiamento del territorio".

Monica Lanfranco - Luglio 2013 (pubblicata su "Il paese delle donne")