Il mare che viene e che va

Una storia pensata

Il mare che viene e che va
Bruno Marengo
COEDIT - Mauro Cormagi Editore
€ 15,00
pag. 228

Il mare che viene e che va: il titolo del più recente lavoro pubblicato da Bruno Marengo, richiama ancora una volta alla nostra mente, l'immagine del mare. È lo stesso mare, splendente nel suo azzurro d'estate, che abbraccia la spiaggia della Riviera di Ponente in "A Spotornoo", opera prima dell'autore, scintillante racconto d'epoca ambientato nell'estate del 1961, quella della nostra comune iniziazione alla vita. È lo stesso mare sul cui orizzonte compare e scompare la "Cattedrale di Apenac", luogo mitico ed irraggiungibile dei desideri e delle speranze più recondite, le cui alte guglie s'innalzano soltanto alla vista di pochi eletti, quelli che possono pensare, davvero, di scalare la maestosità dell'immaginario. È lo stesso mare su cui si affacciano le casette multicolori, dipinte nei quadri di Ettore Canepa, il pittore sicuro ispiratore dei paesaggi descritti con tanta raffinatezza nei libri di Marengo.

Questa storia "del mare che viene e che va" può essere sicuramente definita come "una storia morale". Un racconto, una narrazione che dipana la sua matassa, per concludere con un insegnamento "in positivo". Non si tratta, ovviamente, del "lieto fine" delle fiabe classiche, ma della lezione che ci viene dal dubbio, dalla contraddizione, dell'agitarsi della vita che, a un certo punto, è messo in discussione da avvenimenti imponderabili (quasi la "mano del fato") che contribuiscono così, quasi inavvertitamente, a svelare la realtà dell'animo umano, tra la slanci, egoismi, chiusure, aperture. Alla fine, però tutto non ritorna come prima e tutti "non vissero felici e contenti".

In questo senso, Marengo mi perdonerà l'osservazione, il "mare che viene e che va" non è una storia sognata, come recita il sottotitolo. Pare, piuttosto, una "storia pensata". Una "storia pensata", ovviamente, attraverso il filtro della fantasia che contraddistingue l'autore (il suo "immaginifico", verrebbe da dire se non ci fosse il timore di apparire un po' troppo ridondanti), ma "pensata" perché frutto dell'attenta osservazione che l'autore compie sui fatti e sull'animo umano, e frutto, anche e un po', del suo "disincanto". Un "disincanto" frutto dell'età, che induce ormai ad un certo distacco "socratico", o capacità di elevarsi, sempre e comunque, dal quotidiano sentire, nel tentativo costante di analizzare ciò che magari non si vede?

La risposta a quest'interrogativo non è importante. Importante è "volare alto". La risposta potrebbe venire, però, accostando il lavoro di Marengo a due autori del'900 italiano: la descrizione dei personaggi, in chiave spiccatamente neo-realista ricorda proprio lo Zavattini di "Miracolo a Milano" (una traccia di questo filone, in Marengo, si ritrova anche nei "figli di Madame Reverie"); l'intreccio della storia richiama, inesorabilmente (credo propria vada intesa come una lode) il surrealismo di Ennio Flaiano.

Marengo tiene assieme questi due riferimenti, li raccoglie, li stringe in una scansione di fatti descritti con stile, ne fa scaturire una "storia": un'opera da scrittore ormai affermato, sapiente nel dosare agli altri le sue emozioni, ma anche un'opera da artigiano che usa sottilmente la penna per scoprire nuovi orizzonti, e, facendo finta di niente, con una certa "nonchalanche" donarci la sua intatta freschezza di spirito, per stupirci di nuovo.

Franco Astengo
Marzo 2004