Medici di guerra, inviati di pace

Medici di guerra, inviati di pace
a cura del personale di
Emergency in Afganistan
Guerini e Associati
€ 12,50
pag. 153

La guerra, scrive Ennio Remondino nella prefazione del libro, ha soltanto l'indicativo presente. Non ha passato prossimo o remoto e non ha futuro. Il condizionale è sconsigliato soprattutto quando si parla di ragioni e di torti; di buoni e di cattivi.

La guerra, dice Gino Strada attraverso una vignetta di Vauro, è il modo in cui gli imbecilli cercano di risolvere i problemi.

Ennio Remondino vorrebbe conoscere coloro che hanno inventato la definizione di "effetto collaterale" e imporre poi a tutti loro di pulire, per qualche settimana, il pavimento degli ospedali di Emergency sparsi nelle guerre del mondo, per poter vedere da vicino e toccare con mano gli "effetti collaterali".

Gino Strada con Giulietto Chiesa, Vauro ed altri volontari di Emergency incominciano l'8 Ottobre 2001 (il giorno dopo l'inizio dell'operazione militare denominata Enduring freedom) a scrivere un diario a più mani che diventerà poi questo libro. In Medici di guerra inviati di pace gli effetti collaterali sono evidenziati da parole da fotografie e da "elenchi".

La guerra a noi in Occidente arriva attraverso giornalisti che, senza fare una piega, riferiscono notizie che sanno false (perché se non sapessero che sono false - dice Giulietto Chiesa - sarebbe anche peggio, perché vorrebbe dire che non sanno fare il loro lavoro). Nessun giornalista fa giungere a noi la voce di Malang ustionato o quella di Abdullah che è morto oppure quella di Jussuf senza un braccio e senza una gamba e nemmeno quella dei profughi o di chi vive da trent'anni sul fronte di guerra con quasi niente da mangiare ed ignaro di cosa sia accaduto a New York l'11 Settembre. Chi vede la guerra in Afganistan e poi, grazie al satellite, vede ciò che fanno vedere a noi in Occidente, sa che le immagini che ci giungono altro non sono che una realtà truccata; una falsità.

Il 7 Novembre 2001 Gino Strada, dall'ospedale di Anabah scrive, a nome di Emergency, una lettera ai parlamentari che dovranno votare sull'entrata in guerra del nostro paese. Spiega loro che ciò che decideranno non sarà soltanto l'invio di mezzi navali aerei e terrestri verso l'Afganistan, ma la morte di un'infinità di civili.

Quello stesso 7 Novembre alla Camera dei Deputati ci saranno 513 voti favorevoli, 35 contrari 2 astenuti. Poi al Senato ci saranno 246 voti favorevoli e 32 voti contrari (oltre ai nostri, quelli dei Comunisti Italiani, dei Verdi e di 14 senatori DS).

I chirurghi operano; gli aquiloni tornano a volare; le mucche pascolano; e nel Panshir, per centoventi famiglia arriva la luce elettrica; gli effetti collaterali della guerra continuano... le fotografie li spiegano quasi meglio delle parole...

Questo libro-diario si conclude nel mese di Dicembre con una speranza; una speranza che - come scrive Matteo Dell'Aira - nasce da un cumulo di macerie e si chiama Mohammed; Mohammed che vorrebbe fare l'infermiere o il medico.

Un filo di speranza, per quanto piccolo possa essere, si percepisce anche qua da noi in Italia, ogni qual volta si vede uno "straccio di pace" appeso ad una borsa o ad uno zaino, ad un passeggino o ad un guinzaglio di un cane.

Stefano A. il 26 Novembre 2001 manda un'e-mail ad Emergency scrivendo che ha chiamato sua figlia Lucia Maria Fahima. Il nome di una bambina di cinque anni deceduta il 28 Ottobre a Qalai Khater. Anche questa è una speranza!

Ed io mi auguro che i parlamentari ed i senatori che hanno votato a favore della guerra abbiano poi avuto il coraggio di leggere gli elenchi delle vittime civili di una guerra incivile come tutte le guerre. Leggere ad uno ad uno i nomi e le età dei feriti e dei morti riportati in questo libro dopo ogni bombardamento anglo-americano. E spero che abbiano il coraggio di sentirsi la responsabilità di ogni morte, ad una ad una.

Elisabetta Caravati
Novembre 2002