La terra più amata - Voci della letteratura palestinese

La terra più amata
Voci della letteratura palestinese
a cura di W. Dahamash,
T. Di Francesco, P. Blasone
Manifesto Libri
€ 15,50
pag. 215

In questa antologia della letteratura palestinese vi sono poesie, brani di romanzi e racconti brevi.

Gli autori sono palestinesi costretti all'esilio; palestinesi che vivono e resistono sotto l'occupazione militare nei territori occupati da Israele nel 1967; palestinesi che vivono come stranieri nel proprio paese dopo che, nel 1948, il popolo ebraico si è impossessato della loro terra; e palestinesi che, già negli anni 30, durante l'occupazione inglese, si sentivano in pericolo.

Fin dalle prime pagine di questo libro si incomincia a guardare il mondo con occhi palestinesi; si avverte immediatamente la drammaticità di un popolo costretto a vivere senza terra, cacciato dalla propria terra; e si viene a conoscenza, attraverso le parole di Mu'in Bsisu di un'atroce verità: «I ricchi hanno Dio e la polizia. I poveri hanno le stelle e i poeti». Ma, per i poveri palestinesi, nemmeno le stelle sono le stesse guardate da un altro luogo; infatti Mahmud Darwish implora: «...sono invecchiato rendimi le stelle dell'infanzia / fammi tornare / come tornano gli uccelli ...».

I poeti cantano l'amore, l'esilio, la lotta, la resistenza. Chiedono il diritto all'esistenza; la necessità di una terra per poter appartenere ad essa; per poter esistere.

Ibrahim Tuqan nel 1935 chiedeva ai potenti: «...Basta a voi che la terra si svuoti di noi, o per noi preferite la morte?»

C'è chi sa, come Rashid Husayn, che non si può odiare un popolo la cui carne fu cenere sotto mano iniqua; e non vuole che un bambino a dieci anni diventi un eroe e sembra non volere quello che vuole il suo popolo, ma «...dopo il rogo del paese mio / e dei compagni miei / e della giovinezza / come può il mio canto non farsi fucile?»

Nemmeno ai morti è concesso di riposare in pace. In "quel villaggio quel mattino" un morto viene svegliato dal rumore di una ruspa che spiana il terreno del cimitero distruggendo lungo il percorso le modeste pietre tombali e le ossa dei morti. Ma, i palestinesi morti, come quelli vivi, sono tutti terroristi, dunque per loro non resta che la prigionia o l'esilio; o la fuga nelle acque di un fiume...

Raymonda Hawa Tawil era una bambina nel 1953; un giorno una sua compagna di classe ebrea la invita a casa sua. Avvicinandosi alla casa la bambina palestinese capisce subito dove sta andando; infatti la sua amica ebrea occupa la casa di sua zia e dei suoi cugini che sono dovuti scappare in Libano. Quando entra tutto è rimasto com'era, vi sono gli stessi quadri attaccati alle pareti, vi è il piano che la zia suonava sempre e persino una bambola con cui lei giocava un tempo. Improvvisamente però Raymonda si rende conto che quella casa, che lei conosce bene, non riconosce lei. Non è più la stessa casa, infatti è occupata da estranei. Lei, comunque, non prova risentimento nei confronti di chi occupa la casa di una zia e di cugini che non vedrà mai più, perché mai più torneranno dal Libano. Le due bambine credono entrambe che un giorno Ebrei ed Arabi vivranno insieme.

Non sono solo quelle due bambine a sperare. In tutta "La terra più amata" si respira una spinta alla vita, una necessità di futuro e la certezza che questa tragica situazione deve essere per forza provvisoria. Infatti Tawfiq Zayyad ci assicura che: «sulle macerie e sotto le macerie, / sulle soglie divelte delle case / e sopra i pali della luce, / e sui rami degli alberi infocati, / e nei vicoli arati dei campi, è veloce il passaggio delle cose.»

Anche noi, nonostante tutto, nonostante il massacro di Genin e la strage di Gaza dove troppi innocenti sono stati uccisi, continuiamo ad augurarci che questa occupazione cesserà ed a sperare ed a chiedere per quei due popoli, due stati.

Elisabetta Caravati
Maggio/Giugno 2002