Disarmiamoci: liberi/e, pacifici/che per un congresso di discontinuità e radicalità

Intervista a Paolo Cacciari

"Rifondazione Comunista si sta progressivamente avviando a un congresso di scontro, il cui esito potrebbe essere una ulteriore lacerazione del Partito". Partendo da questa convinzione ha preso corpo e anima il quinto documento congressuale "Disarmiamoci: liberi/e, pacifici/che per un congresso di discontinuità e radicalità" sottoscritto da Walter De Cesaris, Franco Russo e Gabriella Stramaccioni e sostenuto da numerosi esponenti di movimento e del partito. Rientra in tutte e due le "categorie" Paolo Cacciari architetto, attivo in movimenti e associzioni ambientaliste, già Assessore all'Ambiente del Comune di Venezia dove avviò la raccolta differenziata "porta a porta" che Paolo Cacciarifaticosamente stiamo introducendo anche nella nostra provincia. L'ex deputato con grande disponibilità accetta di fare quattro chiacchiere con noi.

Partiamo da una considerazione precongressuale e postelettorale: il nostro VII Congresso, peraltro previsto come da scadenze statutarie, dopo la sconfitta nelle urne assume un sapore diverso da quello che avrebbe avuto se in Parlamento ci fossero ancora le sinistre e i comunisti. Quanto è inserita la discussione sul dopo-voto nel dibattito dentro il PRC?

Il risultato elettorale costituisce sicuramente un punto di svolta nella storia politica del nostro paese. Per la prima volta da quando esistono i partiti e le elezioni le rappresentanze del "movimento operaio" socialista prima e comunista poi non sono rappresentate. Ciò che si temeva (la cancellazione della sinistra politica dal teatro istituzionale) è avvenuto. Il congresso dovrebbe partire da qui, dalla analisi delle cause (vicine e lontane) di una simile disfatta.

In queste settimane il tema centrale su cui si è focalizzata l'attenzione della cosidetta "opinione pubblica", ben manovrata dal governo e dai mezzi di informazione, è la sicurezza: ma non quella sui posti di lavoro. Bensì la tensione securitaria che viene alimentata dalle fobie per gli stranieri, per i diversi. A Roma un giornalista di Radio Deegay è stato picchiato e gli è stato intimato di non trasmettere più. Nel quartiere del Pigneto una ventina di neonazisti ha assaltato negozi gestiti da bengalesi e da indiani. Le ronde padane pullulano dal Nord Ovest alle più remote città della Penisola. Senza parlare dell'aggressione alla Sapienza. Rifondazione Comunista ha gli strumenti per arginare questo clima di recrudescenza violenta e di intolleranza?

Dall'11 settembre, grazie all'uso spregiudicato e cinico dello spauracchio del terrorismo, leggi speciali, riarmo, guerra sono diventate le politiche prevalenti delle oligarchie al comando degli Usa e dei loro alleati. Sul piano interno i governi delle nazioni occidentali stanno tentando di proteggere i propri interessi economici nel mare turbolento della globalizzazione mettendo in essere politiche protezioniste, costruendo nuovi muri della vergogna, etnicizzando il mercato del lavoro. Le forze reazionarie e i mass media si stanno dando un grande da fare per impaurire, criminalizzare, sottomettere i migranti. Mi pare che la teoria che seguono sindaci sceriffi, squadracce leghiste, neonazisti vari sia quella della differenziazione razziale dei diritti; il loro desiderio è che i migranti debbano svolgere un lavoro schiavo senza cittadinanza, senza voto, senza libertà di parola, di religione, di dissenso. Così pensano di dare una risposta rassicurante alle "paure" che hanno i cittadini autoctoni nei riguardi degli stranieri: solo se vigilati, sottomessi, schiavizzati possono "non dare disturbo", non essere di intralcio ai loro business, non turbare il loro sonno.

Le risposte che la sinistra ha dato agli sconvolgimenti planetari in corso Paolo Cacciari(migrazioni bibliche Sud- Sud, inurbamento, profughi ambientali, ritorno della fame a causa delle speculazioni finanziarie sul prezzo dei generi alimentari, delocalizzazioni produttive verso l'Est e l'Estremo oriente, competizione sfrenata sui prezzi di produzione...) non sono state sufficienti. Ci siamo limitati a dichiarare una giusta solidarietà umanitaria e a chiedere politiche di accoglienza e di integrazione più efficaci nei riguardi di chi affida alla emigrazione il proprio progetto di vita e di sopravvivenza. Ma è del tutto evidente che se l'Occidente non rimetterà in discussione le modalità del proprio neocolonialismo (produrre a costi cinesi e rivendere a prezzi tedeschi) gli squilibri planetari sociali e ambientali si acuiranno sempre di più e con essi si genereranno flussi migratori sempre più consistenti. Senza una politica Nord-Sud di equità, reciprocità, cooperazione, riconoscimento del debito ambientale e sociale, cancellazione del debito accumulato dai paesi poveri, liberazione dai vincoli del Fondo monetario internazionale, scioglimento del WTO... non vi sarà futuro di pace e sviluppo umano equilibrato nel pianeta.

C'è un'altra emergenza che viene invece sistematicamente trascurata, salvo qualche intervento sporadico quando ci scappa la tragedia: è la sicurezza sul lavoro. Non è forse questo il vero problema sicurezza nel nostro paese?

Gli incidenti sono la conseguenza di una generale svalorizzazione del lavoro manuale, industriale, agricolo, edile. Più in generale di una disumanizzaizone della condizione di vita degli individui: precarizzazione, competizione, stress, alienazione. Penso alla inchiesta di Loris Campetti sull'uso delle droghe nelle fabbriche.

Torniamo al VII Congresso di Rifondazione Comunista: da una parte si avanza la proposta della "Costituente della sinistra" e dall'altra quella della "Costiente dei comunisti". È un bisogno di unità o una ricerca forzata di assemblaggio di culture simili che portino ad una semplificazione del quadro politico nel frammentato mondo della sinistra italiana?

Ho l'impressione che il ritorno di proposte di aggregazione per identità forti, che si rifanno alle ideologie storiche classiche (comunisti, socialisti, ecologisti...), sia in realtà l'inevitabile rimbalzo del fallimento del tentativo di praticare una aggregazione per via politico-programmatica. Mi riferisco allo stop che ad un certo punto ha avuto il nuovo partito della Sinistra Europea, prima ancora alla paralisi dei Social Forum, al flop della Camera di consultazione di Asor Rosa, fino alla miserrima fine della Sinistra e l'Arcobaleno. Penso che il bisogno di unità (a sinistra del Partito democratico) sia sacrosanto. Penso però che le modalità e le traiettorie politiche siano la vera questione su cui impegnarsi. Se sarà assemblaggio, giustapposizione... di ciò che c'è e che rimane com'è non ne nascerà nulla di buono. Se invece sarà un percorso di elaborazione e sperimentazione, di ripensamento della politica e di pratiche sociali, allora mi aspetto molte cose. Le contraddizioni di questo mondo sono evidenti e crescenti. Ciò che manca non è la domanda (di sinistra, antagonista, altermondialista...), ma una offerta di organizzazione intelligente, includente, adeguata alla complessità della situazione.

In mezzo alle "costituenti" c'è posto per una posizione unitaria e radicale allo stesso tempo: un rafforzamento dell'esistente per una prospettiva unitaria della sinistra che rispetti le singole identità?

Siamo ad un momento che richiede sincerità. Se si faranno le "costituenti" (comunista e socialista) non vedo che spazio politico possa esistere per una posizione unitaria. Detta in un altro modo: le "costituenti" vanno contro la ipotesi della "prospettiva unitaria". Conto che durante questo congresso i compagni e le compagne del secondo e del terzo documento se ne possano convincere. Così come spero che i compagni/e del primo documento si convincano che Rifondazione è davvero un "bene comune" solo se si riesce a mettere a disposizione di tutti coloro che nella società si battono per un altro mondo. Se Rifondazione guarda solo a sé stessa non servirà nemmeno a far sopravvivere sé stessa.

Secondo la posizione che qui rappresenti sono da escludere rapporti con il Partito Democratico o un dialogo su determinate tematiche è ancora possibile? E se sì, a che livello?

Questo Partito democratico ha fatto una scelta di rottura a sinistra; ha buttato alle ortiche l'Unione e qualsiasi ipotesi di centro-sinistra, per oggi e per il futuro. Peggio, ha fatto la scelta di cambiare di fatto le regole del gioco elettorale. Grazie a Veltroni e Berlusconi siamo entrati in un regime bipartitico all'anglosassone che lavora in direzione del presidenzialismo. Non ci hanno solo fatto perdere una elezione, ma il loro disegno è quello di precludere alle sinistre antagoniste le porte del Parlamento per sempre.

Noi quindi siamo obbligati a riuscire a fare da soli (al di la dell'esistenza o meno di qualsiasi schema di alleanze) e a prescindere dalla presenza in parlamento. Quindi abbiamo bisogno di un partito totalmente sociale, capace cioè di essere immediatamente e direttamente strumento di organizzazione, di socializzazione, di lotta delle popolazioni, dei ceti, degli uomini e delle donne che vogliono cambiare lo stato di cose esistente. Un partito che riesca a far valere e a negoziare con i poteri costituiti anche stando fuori i palazzi delle rappresentanze.

Penso che rapporti tattici, strumentali, banalmente e dichiaratamente utilitaristici siano possibili col Pd a livello locale, per mantenere aperte certe politiche di interesse pubblico. Ma non dovremmo più commettere l'errore che abbiamo fatto durante il governo Prodi: credere e dare da intendere che il Pd sia piegabile ad una politica autenticamente di sinistra, effettivamente autonoma dagli interessi padronali economici e finanziari. Più ancora dobbiamo uscire presto dalla cultura "governamentale" secondo cui conta solo chi sta al Governo.

Puoi rivolgere un invito al voto per la tua mozione cercando di esprimere, al comtempo, una sintesi estrema della medesima?

Prima, una piccola premessa amara: ho l'impressione che questo Congresso sia una occasione sprecata (per ragionare liberamente e approfonditamente sulle cause del disastro) e che finisca per preludere alla ennesima separazione. Con l'aggravante che questa volta tutti (vincitori e vinti) si ritroverebbero con un pugno di cenere in mano.

Il documento "Disarmiamoci" di Russo, De Cesaris, Stramaccioni vuole quindi, già nel tittolo, essere un invito a tutto il Partito a non farsi del male. Lavorare per mettere a punto le diversità, disporsi all'ascolto dei pro e dei contro di ciascuna posizione, insomma un congresso di dialogo non di contrapposizione. Prediche inutili? Con i buoni propositi si va all'inferno? Bene, allora la mozione lancia una proposta-sfida precisa: non eleggere subito un segretario/a; rinunciare a sovrapporre la discussione politica con la collocazione negli "assetti di comando" del partito. Siano i territori, i regionali e le federazioni a reggere la gestione del partito. Decentralizziamo, rovesciamo la piramide, democraticizziamo.

Sul punto che sembra essere di maggiore scontro tra i documenti congressuale (la costruzione di un soggetto politico unitario e plurale) il 5° documento fa una proposta precisa: ripartiamo dalla Sinistra Europea e apriamo un processo lungo un percorso che ha due "paletti": internità ai movimenti sociali e autonomia dal governo (da qualsiasi governo). Quale sarà il contenitore lo vedremo strada facendo, non subito. Dovremmo ragionare e sperimentare modelli organizzativi innovativi rispetto a quelli tradizionali dei partiti nati nell'800 e nel '900. " Il problema centrale – scriviamo nel documento – è trasformare i partiti che si richiamano alla sinistra da strutture autorefernziali e istituzionali in organismi impegnati a fare società. L'orizzonte di un nuovo mutualismo deve diventare modalità dell'agire politico". Insomma, un partito sociale e non un partito delle cariche pubbliche, immerso nelle pratiche dell'altra società.

Per quanto riguarda l'analisi della fase politica il documento invita a tenere ben presente il quadro internazionale, i processi di globalizzazione guidati dai mercati finanziari, le grandi concentrazioni di potere sopranazionale e a-democratici, le disparità e disuguaglianze crescenti, la colossale redistribuzione delle ricchezze a favore dei profitti e delle rendite, la precarizzazione del lavoro, la rottura delle relazioni e delle solidarietà sociali. La crisi ambientale, le catastrofi annunciate, sono la controprova del fallimento del turbocapitalismo, della megamacchina termo-industriale. Le centrali del comando capitalistico, le oligarchie, le nomenclature, i megaricchi che controllano i flussi finanziari e produttivi a scala globale, per mantenere i propri privilegi, non hanno altra scelta che ridurre gli spazi democratici. Ma da Seattle nel '99 quando partirono le contestazioni al WTO, da Genova nel 2001 quando contestammo l'arroganza dei G8 2001, da Firenze nel 2003 quando partirono le mobilitazioni contro la guerra "infinita e preventiva", dalle lotte di resistenza delle comunità alla devastazione dei territori (dalla Val di Susa a Chiaiano), dalle lotte di giovani precari, dalle mobilitazioni per i diritti ... nasce la ragione di un partito che segni "discontinuità e radicalità", capacità di rinnovamento e radicamento, apertura e unità.

Marco Sferini
Savona - 13 Giugno 2008


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