Rompere con Prodi, preparare l'alternativa operaia

Intervista ad Alessandro Giardiello

Per presentare un documento al VI Congresso di Rifondazione Comunista erano percorribili due strade: la prima prevedeva la sottoscrizione di una mozione da parte di almeno il 3% dei componenti il Comitato Politico Nazionale, la seconda, oggettivamente più difficile, consisteva nel raccogliere 500 firme tra gli iscritti al partito a sostegno del documento in questione.

I compagni di Falce e Martello (area che prende il nome dall'omonima rivista) di firme ne hanno raccolto ben più di 700 affermandosi così come la quinta mozione congressuale. Una mozione, affermano i firmatari, che propone una diversa linea politica e un programma rivoluzionario. È per noi un piacere parlarne con Alessandro Giardiello membro del CPN tra i primi firmatari del documento.

Il VI Congresso di Rifondazione Comunista stabilirà senza alcun dubbio e senza alcuna ambiguità la linea politica del nostro partito per i prossimi anni. Quale dovrebbero essere, secondo la proposta congressuale che qui rappresenti, le strategie e le scelte future del PRC?

La scelta potremo sintetizzarla in uno slogan: una svolta radAlessandro Giardielloicale verso i movimenti di massa. Abbandonare la diplomazia di vertice (sul fronte istituzionale come su quello di movimento), per rivolgerci, con la nostra alternativa complessiva ai movimenti di massa, alla classe lavoratrice, alle giovani generazioni.

I capisaldi politici di questa impostazione strategica sono: l'assoluta indipendenza di classe dalle rappresentanze della borghesia, la "rottura al centro" con Prodi e la GAD, l'intervento dei comunisti nella crisi della socialdemocrazia (DS e CGIL innanzitutto), con la prospettiva di contendere ai riformisti la direzione sul movimento operaio. Fuori da ogni settarismo e da velleità scissionistiche, che pure sono presenti nel nostro partito, l'obiettivo è conquistare l'appoggio della maggioranza dei lavoratori a una prospettiva rivoluzionaria, per la trasformazione della società in senso socialista.

In sede congressuale verranno affrontati diversi aspetti del nostro essere comunisti, ma è indubbio che l'accordo programmatico con le forze del Centrosinistra viene visto come il fulcro dell'intero dibattito. Una scelta impegnativa dettata dalla necessità di cacciare Berlusconi, una scelta che ha portato alla nascita della Grande Alleanza Democratica (GAD). Ma come sono conciliabili le nostre proposte con quelle dei partiti del Centrosinistra? L'accordo organico di governo è l'unica strada percorribile?

Un accordo di governo con l'Ulivo non può che riaprire una parabola simile a quella che si è realizzata nel '96-'98 con il primo governo Prodi, tanto più con dei ministri nell'esecutivo e in un contesto economico peggiore rispetto a quello degli anni '90. Ricordiamolo ai più giovani, in quel frangente il partito si è trovato a sostenere politiche antioperaie (Pacchetto Treu, Turco-Napolitano, Finanziarie '96-'97, ecc.) e a presentarle come degli avanzamenti. Il prezzo che si è pagato è stato alto in termini di influenza, di militanza, di capacità d'intervento.

L'intera storia del movimento operaio insegna che la politica di collaborazione di classe finisce inevitabilmente per risolversi a vantaggio delle classi dominanti e contro i lavoratori. Questo indipendentemente dai contesti sociali: i governi di fronte popolare, che hanno consumato grandi tradimenti contro il movimento operaio, nascevano spesso in contesti avanzati e in situazioni prerivoluzionarie. L'argomento di Bertinotti che giustifica l'accordo con la GAD con il fatto che rispetto al '98 ci sono stati i movimenti che hanno scosso il quadro del Centrosinistra non è pertanto convincente. Proprio perché c'è una ripresa delle lotte sociali, è necessario ancor più avere una linea intransigente di difesa degli interessi di classe.

Detto questo, non possiamo però essere insensibili alla richiesta di unità che ci viene dal "popolo di sinistra" Alessandro Giardielloper cacciare le destre e questo governo reazionario. Se siamo sordi a queste sollecitazioni siamo condannati all'isolamento e non c'è alcun "polo di classe anticapitalistico" che possa salvarci da una simile deriva, almeno non da qui alle prossime elezioni del 2006.

L'unica proposta ragionevole (che avanziamo e argomentiamo a fondo nel nostro documento), nel breve termine, è quella difensiva di una desistenza (unilaterale o concordata a seconda dei casi) verso le forze di sinistra dell'Ulivo (DD e PDCI in primo luogo) dichiarandosi indisponibili a un accordo di governo. Una desistenza da non estendersi alle forze organicamente borghesi come la Margherita. Si tratta di una tattica per rivolgerci alla base di quelle organizzazioni che indipendentemente dalla loro politica, hanno un radicamento nella classe lavoratrice (attraverso la tradizione e il loro legame con i sindacati). Questa tattica è funzionale alla strategia generale che avanziamo della rottura al centro e del governo operaio al quale lavorare nel medio e lungo termine.

La proposta per certi aspetti è la stessa che Lenin indicava ai comunisti inglesi nell'Estremismo: indipendenza politica e di programma dai socialdemocratici ma allo stesso tempo disponibilità a desistere verso i laburisti per impedire la vittoria dei conservatori. In un sistema elettorale maggioritario conquistarsi l'ascolto dei lavoratori laburisti era per Lenin molto più importante che ottenere qualche seggio in più in Parlamento.

Nella costruzione dell'alternativa di società, che rimane il nostro obiettivo, un ruolo decisivo dovrebbero ricoprirlo le lotte sociali promosse dai movimenti. Ma in che modo riusciranno ad influire nella vita politica nazionale?

Come si è visto nei punti alti della lotta di classe (biennio rosso, resistenza, autunno caldo) un movimento di massa finisce inevitabilmente per influire sulla vita politica nazionale. Lo scopo di un partito comunista non è fare la "sponda politica" dei movimenti, né quello di "creare" movimenti, i quali come si è visto sorgono da soli e sono per certi aspetti il frutto della crisi del capitalismo. Il partito deve fondersi con i movimenti, nel senso di esserne parte integrante (attraverso i propri militanti) e candidarsi allo stesso tempo ad esserne avanguardia e direzione. Nella misura in cui questo si realizza a determinate condizioni si può fare strada un'alternativa di società che necessariamente si tratta di un processo che comporta una rottura rivoluzionaria.

Questo non ce lo insegna solo l'Ottobre, lo vediamo nelle recenti rivoluzioni in America Latina (Argentina, Bolivia, Venezuela) dove da una parte è emersa con chiarezza la necessità per le masse di conquistare il potere politico anche solo per avanzare timidi programmi di riforme, dall'altra c'è una tendenza spontanea a ripercorrere "vecchie" vie, organizzando le mobilitazioni attraverso organismi di tipo consiliare.

L'unico elemento ancora debole in America Latina come a livello internazionale è il fattore soggettivo, un partito rivoluzionario con influenza di massa (come lo è stato quello bolscevico nel '17) in grado di canalizzare l'enorme forza che la classe lavoratrice ha dimostrato di avere ai fini dell'abbattimento del capitalismo.

Per tornare alla domanda iniziale credo che in ultima analisi il modo migliore attraverso cui i movimenti possono influire nella società non è attraverso partiti deboli, ma al contrario con partiti di massa forti e radicati che si muovano in un'ottica anticapitalistica. Altrimenti la loro forza verrà utilizzata non per far avanzare il movimento ma per deviarlo su binari morti.

Per anni all'interno e all'esterno del nostro partito si è parlato di un progetto per la costruzione della "Sinistra Alternativa". Condividi questo progetto? La nascita della GAD non rischia di farne tramontare definitivamente la costituzione?

La sinistra alternativa così come proposta dal Segretario può anche non essere in contrasto con la GAD. Infatti se la si concepisce come un contenitore attraverso il quale fare pressione diplomatica sui vertici della sinistra moderata, nel rispetto delle reciproche "aree di influenza" allora la proposta della GAD accompagnata alla candidatura del Segretario alle primarie ha un senso, ed è un modo, se si vuole anche efficace, di coprire un vuoto politico che si è aperto alla sinistra dei Ds negli ultimi anni.

Il problema è che si tratta di un'operazione tutta interna a una logica riformista, che mira a ricavarsi uno spazio politico-elettorale e niente più. Una vera sinistra alternativa in grado di incidere realmente nella società può nascere solo dai grandi movimenti di massa che vedremo inevitabilmente nei prossimi anni, a condizione che Rifondazione Comunista sia in grado di organizzare una efficace opposizione politica e sociale sia alle politiche del centrodestra che a quelle del centrosinistra.

Negli ultimi mesi nel nostro partito si è discusso molto della politica della nonviolenza. Una nuova proposta identitaria vista come strumento necessario per la trasformazione della società. Questa scelta rappresenta un taglio netto con la storia comunista e quella del movimento operaio? Rinnega in qualche modo le lotte di liberazione dei popoli?

Si tratta senza ombra di dubbio di un taglio netto con la migliore tradizione del movimento operaio. D'altra parte lo ha riconosciuto lo stesso segretario in un intervista rilasciata a Valentino Parlato il 21 Gennaio scorso quando ha dichiarato che: «non solo Lenin, ma tutti i grandi del movimento operaio del '900 sono morti e non solo fisicamente».

Noi non possiamo sommarci alla vulgata liberale che accomuna gli orrori con il comunismo. Dobbiamo ragionare sulla degenerazione della Rivoluzione d'Ottobre, certo, ma dobbiamo farlo da un punto di vista rivoluzionario. A questo proposito ritengo utile la lettura di testi come la "Rivoluzione Tradita" di Trotskij e altri scritti di quei dirigenti dell'Opposizione di sinistra che hanno lottato in URSS contro lo stalinismo mantenendosi fedele ai principi rivoluzionari di Lenin e del partito bolscevico. Quei principi che hanno guidato lo Stato Operaio nei primi anni dopo l'Ottobre.

Si può non desiderare l'uso della forza, ma non se ne può negare la necessità quando si scatena l'oppressione delle classi dominanti nelle sue forme più violente come avviene oggi in Iraq. In questi casi rifiutare per principio quel terreno equivale a una rinuncia a combattere contro l'oppressione dandola vinta ai padroni del mondo, significa porgere l'altra guancia e rinunciare ad ogni prospettiva di trasformazione e di cambiamento. Significa altresì rimuovere, la Resistenza e ogni rivoluzione proletaria o movimento di liberazione nazionale ha attraversato il secolo che si è chiuso alle nostre spalle.

Per chiudere. Perché un iscritto al VI Congresso di Rifondazione Comunista dovrebbe votare il documento da te sostenuto?

Perché è necessario opporsi alla linea della maggioranza senza cadere nel settarismo sterile che è incapace di incidere sul corso reale delle cose. Queste cose le andiamo dicendo da tempo all'interno della vecchia minoranza congressuale di cui, molti di noi, sono stati militanti, per quanto critici. Oggi la crisi della sinistra del partito è palese ed è in corso una vera e propria frantumazione (all'ultimo CPN la ex seconda mozione si è divisa in quattro parti a cui si sommano altre defezioni individuali). Sfuma definitivamente l'illusione che si possa costruire un opposizione rivoluzionaria a colpi di ordini del giorno negli organismi o nei congressi di partito ripetendo come un disco rotto: "NO agli accordi col centrosinistra".

Per quanto riguarda l'Ernesto ed Erre, credo non le si possa considerare delle reali alternative alla maggioranza perché non c'è un'opposizione di fondo di queste aree all'entrata nella GAD, ma solo la volontà di proporre dei paletti programmatici da una parte o di essere un po' meno organici al Centrosinistra dall'altra. Se si va a vedere il programma concordato con il Centrosinistra nel '96 ci si renderà conto che non un solo punto formalmente progressivo di quel programma è stato poi realizzato. A dimostrazione che conta molto di più la natura di classe di una coalizione che il programma che formalmente si concorda in una trattativa di vertice. Porre dei paletti programmatici come propone l'Ernesto non tira il partito fuori dal pantano, al contrario legittima potenzialmente agli occhi dei militanti un'alleanza di governo innaturale. Se si guarda invece all'elenco di militanti di base che sostengono il documento di Erre ci si renderà conto che è pieno di consiglieri, assessori e persino di presidenti o vicepresidenti di giunte locali di Centrosinistra, anche di città importanti. I compagni vogliono stare fuori dal governo nazionale ma mentre da una parte non escludono un appoggio esterno a Prodi (abbiamo visto gli effetti nel '96) dall'altra continuano a stare comodamente seduti nelle giunte portando avanti sul piano locale la politica che vorrebbero contrastare a livello nazionale.

Per questo l'unica reale alternativa al prossimo congresso è qualla rappresentata dal nostro documento: "Rompere con Prodi, preparare l'alternativa operaia". Un testo che è stato possibile presentare al dibattito congressuale del partito (a differenza di tutti gli altri che avevano i numeri nel CPN) grazie alla sottoscrizione di 770 iscritti al PRC che colgo l'occasione per ringraziare.

Marco Ravera e Andrea Petronici
Savona/Milano - 6 Dicembre 2004


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