Il Segretario del PRC a Genova

"Voglio" un programma fatto con la società e non dalle segreterie

«Come sarà possibile che il secondo governo Prodi sia più di sinistra del primo?». La «domanda delle domande», come la chiama Bertinotti, rimbomba nel portico di Palazzo Ducale alla fine dell'intervista a più voci a cui il candidato alle primarie si sottopone per quasi due ore. Gliela rivolge Maurizio Maggiani, da sinistra: Don Andrea Gallo, Fausto Bertinotti, Mario Paternostro, Maurizio Maggianiscrittore blasonatissimo, "fiancheggiatore" dell'Arci, columnist di punta del "Decimonono" che qui leggono quasi tutti. Ma ieri il vincitore dell'ultimo Strega parlava da «potenziale elettore alle primarie (ammesso che riesca a trovare il seggio)». Col microfono agganciato alla giacca ci sono anche un giornalista tv del posto, Paternostro di Primocanale, e quel trascinante prete-partigiano che è don Gallo. Di fronte a loro centinaia di persone costrette dalla pioggia a occupare il salotto buono, e aperto sempre a tutti, di Genova.

Prima di rispondere, il segretario di Rifondazione sgombra il campo da nostalgie per gli anni '90 - «la destra ha ingigantito l'equivoco introdotto dal centrosinistra (l'asse Clinton-Blair-D'Alema) che la globalizzazione fosse la modernità. Quella teoria è franata: non produce ricchezza ma guerra preventiva e crisi». Certi «monumenti» antipopolari come la legge 30, la Bossi-Fini e la "riforma" Moratti, spiega Bertinotti che hanno un debito coi diretti predecessori, il pacchetto Treu, il tandem Turco-Napolitano e la filosofia di Berlinguer (l'altro, quello che fu ministro della pubblica istruzione).

La "domanda delle domande", insomma è il programma: «Se deve essere contrattato tra i segretari di partito, me compreso, allora lasciamo perdere - dice l'antagonista alle primarie di Romano Prodi - piuttosto, chiunque vinca apra la discussione nella società. Se scatta la delega perdiamo tutto, perdiamo tutti. Il problema è organizzare l'Unione democraticamente, per svincolarla dai poteri forti».

Più volte Bertinotti riprenderà questo spunto: valorizzare le autonomie, i conflitti e i movimenti, sia nel «nuovo corso», sia già ora nel dibattito politico che dopo le primarie porterà al programma dell'Unione, che sarà comune perché «chi vince deve mettersi a disposizione per cacciare l'attuale governo ma anche per fare una politica realmente alternativa. Sono obiettivi insolubili, faccio le primarie per questo». C'è da spezzare la «legge del pendolo» che fa oscillare verso sinistra gli elettorati di destra delusi dalle politiche liberiste ma che li fa ritornare a destra se i nuovi governi assomigliano troppo a quelli precedenti. E a chi è perplesso sulla strana alleanza con forze moderate, Bertinotti domanda a sua volta: «Che cosa accadrebbe nella vita di ognuno di noi se dovesse rivincere Berlusconi?». Prima i cronisti locali, poi Maggiani davanti al pubblico, torneranno sulla questione della legge elettorale ormai alle porte. Il paradosso del proporzionalista Bertinotti che difende l'attuale sistema è solo apparente. Per scioglierlo viene citato Gramsci quando dice che «la politica è la connessione sentimentale con il proprio popolo». Oggi significa interpretare la voglia di mettere fine all'era Berlusconi «nell'unico modo confrontabile, il sistema elettorale che lo ha portato al governo». Nell'opera successiva di l'atrio di Palazzo Ducale gremito per Bertinottiricostruzione della democrazia si metterà mano anche al modello di voto (a lui piace il modello tedesco) che, grazie all'esperienza delle primarie in cui sono già stati coinvolti, non potrà più vedere esclusi i migranti.

«Negare loro cittadinanza serve a sfruttarli di più e a ricattare anche le popolazioni native». Ma la democrazia a cui pensa il segretario Prc è quella partecipata e dei conflitti, quella a cui alludevano i 300mila di Genova 2001. Don Gallo e Giuliano Giuliani chiederanno quale posto avrà l'istituzione di una vera commissione di inchiesta sulla repressione di quei giorni nel programma del governo che verrà. Il disobbediente Caruso suggerirà un altro paradosso: pezzi di movimento sembrano destinati ad andare al governo e altri andranno in galera se non ci sarà un'amnistia per i reati legati al conflitto sociale. «La generazione di Genova - la chiama Bertinotti - è quella che ha cambiato faccia al Paese», riaprendo la strada al conflitto nei luoghi di lavoro e al movimento per la pace ma sta pagando con 15 mila processi in corso. Tanto l'amnistia, quanto l'inchiesta parlamentare con pieni poteri sono elementi «non negoziabili» di un «patto con il popolo italiano perché non ci sia più morte, perché si rompa la doppia verità e si ripristini la verità repubblicana», ripete in passaggi applauditissimi. E' impossibile districare in questa fase l'emergenza democratica da quella sociale. L'esempio che fornisce Bertinotti è quello della manifestazione di domani a Piazza del Popolo contro la legge elettorale e contro una finanziaria che fa «piovere sul bagnato». Bloccare le due leggi e far cadere il governo prima della sua fine naturale sono le urgenze che il candidato Bertinotti lancia nel confronto politico. L'operazione di Tremonti, spiegherà, «è cinica, maliziosa e crudele, perché costringe gli enti locali a scelte impopolari. La nuova politica fiscale dovrà programmare la riduzione dell'evasione e aggredire la rendita, pensare a un reddito sociale piuttosto che a contributi per le imprese, dirottare i soldi del Ponte sullo Stretto e della Tav sulle reti ferroviarie. foto di Sabrina Calcagno e Marco Ravera«Ci sarà da litigare, ma perché no?», anticipa il leader Prc e, a chi già va suggerendo lacrime e sangue per il prossimo futuro, Bertinotti rammenta lo scandalo tutto italiano che vede insieme l'impoverimento generale e l'arricchimento dei pochi che godono i frutti della finanziarizzazione dell'economia. Un disastro che sta toccando con mano in questi giorni di campagna elettorale in cui frequenta treni dei pendolari, mercatini, cancelli delle fabbriche raccogliendo input «stupendi e drammatici» che vengono scritti sui post-it che punteggiano la campagna.

Checchino Antonini
Genova - 7 Ottobre 2005