Diamo voce ai lavoratori

Ferrania e la Val Bormida

L'undici Ottobre a Palazzo Chigi a Roma si terrà un incontro di importanza strategica per il futuro di Ferrania. In base alle risposte che il Governo darà alle richieste per la sopravvivenza ed il rilancio di Ferrania, si potranno aprire diversi scenari.

La Val Bormina è inequivocabilmente legata alla continuazione produttiva di Ferrania. Se a Ferrania dovesse accadere ciò che nessuno vuole, cioè un elevato calo occupazionale, non sarà solo un problema limitato alle famiglie dei lavoratori, ma anche a tutte quelle infrastutture di servizi, commercio, artigianato che operano sul territorio. Il rischio è l'innescarsi di un terribile effetto domino che potrebbe sgretolare l'economia di una valle già profondamente segnata.

Dobbiamo far capire a chi ci governa che non siamo una realtà periferica da ghettizzare, ma una valle con forte vocazione industriale che ha sempre partecipato in maniera più che attiva all'economia del Paese e che rivendica il diritto di avere il necessario sostegno per il rilancio di un territorio in cui la deindustrializzazione in corso (ormai da anni) sta portando ad una recessione industriale drammatica.

I lavoratori di Ferrania si mobiliteranno in massa verso Roma con l'obbiettivo di sostenere le istituzioni che parteciperanno all'incontro con il Governo per avere il massimo sostegno possibile. Chiediamo a tutti i commercianti, artigiani, lavoratori delle altre aziende del territorio, studenti, cittadini di mobilitarsi, come già fatto in precedenza, per sostenere una causa comune.

i lavoratori della Ferrania
Cairo Montenotte - 2 Ottobre 2004

Perché buttare via il bambino con l'acqua sporca?

Con la chiusura di Ferrania o il suo spezzettamento se ne andrebbe un grande pezzo di storia della nostra valle e si disperderebbe un valore economico importante. Ora al capezzale della moribonda tutti si affannano per trovare rimedi. Aiutiamo l'azienda si dice da più parti, ma a noi lavoratori. Pare che tutti si preoccupino, oggi, per non avere cercato, ieri, di intervenire per salvaguardare non solo l'azienda ma il destino di 1500 dipendenti che oggi sono a rischio, comunque vada a finire.

A noi pare manchi il coraggio di affondare l'analisi molto più a fondo di una solidarietà a parole, non tenendo conto che i mali di Ferraia stanno forse nel fatto che tentando di coprire le difficoltà degli ultimi anni non si è avuto chiaro che senza un intervento coeso di tutte le forze che oggi paiono coalizzarsi per un salvataggio in extremis (non escludibile). Ma oggi per l'ignoranza di ieri, è molto molto più difficile.

Se andiamo a leggere le notizie di stampa antecedenti la richiesta della cassa integrazione di Dicembre/Gennaio 2003/2004 possiamo rilevare come si è sempre tentato di minimizzare la gravità della situazione. Ci domandiamo il perché. Serviva a qualcuno arrivare all'oggi, con l'azienda vicina al collasso? Serve a qualcuno dire oggi che troppi settori produttivi sono obsoleti? Cosa si vuole fare della Ferrania? Chi vuole buttare a mare un patrimonio grandioso, di professionalità dei lavoratori, un altrettanto grandioso patrimonio di tecnologia che in Ferrania esistono e si possono ancora utilizzare con profitto?

È certamente un processo doloroso il salvataggio di questa a azienda che oltre alla professionalità e all'alta tecnologia ha un patrimonio immobiliare grande e appetibile. Noi lavoratori sappiamo che si potrebbe tentare di rimanere sul mercato in quasi tutti i processi produttivi. Certamente occorreranno grandi interventi finanziari e soprattutto il coinvolgimento dei lavoratori.

C'è stato un tempo nel quale in altre zone del paese la fattiva collaborazione delle forze agenti nelle aziende, dalla dirigenza all'ultimo lavoratore, hanno saputo far risorgere imprese cosiddette decotte. La Ferrania è in grado di realizzare il miracolo. E se veramente c'è la volontà, noi diciamo che è ineludibile la necessità di salvare e garantire l'occupazione; serve un impegno reale e concreto, fuori dai soliti schemi e dalle polemiche che si sono scatenate ad alto livello, sulle responsabilità dello stato comatoso oggi emerso.

La mancanza di informazioni reali, che tra l'altro pochi di noi, lavoratori, più attenti degli altri avevamo colto, sullo stato della azienda, hanno determinato oggi solo la paura della perdita del posto di lavoro. Le stesse organizzazioni sindacali sono state travolte da questo desiderio dell'azienda di mantenere il silenzio sulle reali difficoltà, e la mancanza di informazione e di sostegno, determinerà la fuga disordinata di molte forze, che sono indispensabili per salvare la fabbrica.

Ci sono tuttavia parti importanti dei dipendenti della Ferrania che ritengono che una seria politica aziendale, basata sulla commercializzazione dei prodotti, garantita anche da un sano protezionismo, da parte delle amministrazioni provinciali e regionali, consentirebbero di riportare la Ferrania, non diciamo in una situazione floridissima, ma certamente potrebbero garantire un emersione dalla situazione attuale e scongiurarne lo smembramento.

È fuori di dubbio che i sacrifici saranno grandi, ma è importante uscire dalla burocrazia e dal modus operandi ormai cristallizzato nel "io dirigo e tu lavora", "io so, tu no e quindi decido io". È in questo modo che si è arrivati alla situazione di oggi. Per cambiare lo stato di cose attuali bisogna uscire da questi schemi e da situazioni fuori dal nostro controllo.

La situazione della Ferrania è come quella di altre aziende (ROLAM, Magrini, AP Elettrrosiderurgica, Vetrerie) siano esse attive, morte o morenti non è più nelle nostra mani (intendendo con ciò che queste aziende sono gestite da altri che non sono imprenditoria locale) e le decisioni vengono prese in altri paesi. Cosa importa a questi colossi che giocano più con le speculazioni finanziarie, che con la qualità della vita delle imprese stesse e dei lavoratori che sono impiegati in esse? Conta solo il profitto e la padronanza assoluta dei mercati. Il costo del lavoro è l'unica loro preoccupazione.

Qui in questo sito si deve fare un altro conto, occorre prendere nelle nostre mani la situazione. Non si può abbandonare la produzione del materiale fotosensibile. È chiaro che le evoluzioni tecnologiche comportano una diminuzione dei metodi tradizionali, ma c'è tempo per riconvertire, c'è ancora tempo per continuare a coprire fette consistenti di mercato. Serve tuttavia un potenziamento della ricerca per prodotti innovativi. Qui l'intervento deve essere finalizzato non al mantenimento dell'esistente, ma all'innovazione. E non si può lasciar trasferire tecnologia avanzata come quella che esiste nello stabilimento Ferrania in altri paesi.

Ad altre aziende sono stati dati, in diverse forme, incentivi e finanziamenti. Ebbene è doveroso, indispensabile fare le stesse cose per Ferrania. Non si può spezzettare l'azienda, per usare strutture e territorio per insediare altre attività. Noi dipendenti Ferrania non siamo contrari a utilizzare il territorio di proprietà dell'azienda per il ventilato retroporto del porto di Savona, ma gli spazi ci sono, per fare l'una e l'altra cosa.

Garantire ai lavoratori l'occupazione e incentivarla è possibile. Non si può svendere un patrimonio come quello che c'è in Ferrania in nome del profitto di pochi imprenditori, approfittando della attuale crisi finanziaria dell'azienda. Vi sono risorse che nessuno o pochissimi sanno che esistono, tra la altre una centrale termoelettrica a metano, che se fosse necessaria per produrre energia e reddito, esiste, e si può potenziare.

La cosa importante è fare ricerca per convertire e potenziare l'attività innovativa nella radiologia digitale. Il materiale fotografico è in calo di domanda, ma non finirà domani. Il Medicale tradizionale è ancora gestibile. Prova di questo lo stesso bilancio 2003. A noi può anche non interessare la sorte dei singoli manager della ditta, ma la sorte de 1500 lavoratori ci sta molto a cuore. Ben venga il commissario straordinario, ma a lui dovremo rivolgere queste istanze e continuare una battaglia che può salvare il nostro posto di lavoro e di conseguenza anche il sito produttivo.

Proviamo a ribaltare le priorità e forse domani, pur con molti sacrifici, potremo dire si è salvata un grande e prezioso pezzo di storia della nostra valle.

due lavoratori della Ferrania
Cairo Montenotte - 6 Febbraio 2004

Sfogo personale da dipendente della fabbrica

Chiedo anticipatamente scusa a tutti perché non se riuscirò a controllarmi emotivamente.

Signori è finita, si è finita la lunga agonia: Ferrania è in amministrazione controllata! Le lettere di Biasiotti alle banche, le sue amicizie personali, i suoi contatti telefonici hanno sortito l'effetto desiderato e hanno raggiunto l'obiettivo. Purtroppo la carta usata per scrivere quella o quelle lettere non va neppure bene per il cesso, già lui scrive su carta oleata e intestata, ha un magnifico orologio d'oro, veste in modo impeccabile, viaggia su una macchina di rappresentanza, con autista rigorosamente assunto con la nuova legge 30 la legge Biagi (o forse è un iscritto ad una agenzia interinale o forse é un cococo). Tutte queste cose naturalmente valgono anche per l'assessore Gatti! Che uomini di successo sembrano quelli delle soap opera e noi fuori al freddo, a dimostrare, a sorreggere i nostri cartelli, a tentare difendere un misero posto di lavoro. Che meschini, puzziamo persino del fumo emanato dai pallets accesi fuori dai cancelli della fabbrica per scaldarci.

Però che stile, il tremendo viaggio in macchina per spostarsi sino a Cairo, in Valbormida, non gli ha neppure sgualcito la piega dei pantaloni, sulla giacca non si vedeva neppure una piega, ma di che tessuto sarà fatta? Minchia che freddo, ho anche un paio di guanti bucati. Ma adesso ci pensa lui, una lettera ai sui amici banchieri, e tutto va a posto! D'altra parte non è lui il seguace delle magnifiche sorti e progressive del libero mercato, dello stato azienda efficiente ed efficace perseguite ed attuate dal suo maestro?

Guarda arrivano anche i lavoratori della ROLAM di Altare; ma anche per loro è già pronta una bella lettera di protesta formale da inviare in Canada, nella quale si dice che però così non si fa, è scorretto, è imprenditorialmente scorretto, poi chiudere così e non voler neppure vendere, che modi, ma sai sono i soliti canadesi.

Ma non preoccupatevi voi lavoratori, vedrete si sitema tutto, siamo sotto tornata elettorale, poi ci sono gli ammortizzatori sociali, ma quelli li non ci eravamo già giocati alcuni anni fa? Si è vero al grido di "+ privato - stato" e accompagnato da quello che diceva che bisognava smetterla di pensare al posto fisso, roba obsoleta, deve lasciare il posto al nuovo che avanza, la new economy, la finanza, l'impresa finaziaria, la nuova impresa che deve capitalizzare subito, al grido di "opa-opa". Che strano non trovo più Olivetti e Fiat, Ansaldo e Marconi, Enel e Alitalia. Però c'è ancora la cassa integrazione, la mobilità corta, no quella lunga, no quella giusta non c'è ancora, la dobbiamo ancora inventare, ma quanto può essere guista una mobilità?

Poi ci sono ancora i corsi di riconversione e riqualificazione professionale, quelli che ti insegnano a fare il master plan, a gestire il tuo risparmio in fondi di investimento che ti garantiranno una pensione da favola, si ma quanto risparmio io al mese, con un figlio che inizia le superiori, mia moglie che lavora, lavorava alla ROLAM di Altare? Ma quanto costano i libri di testo? Meno male che finalmente posso mandarlo ad una buona scuola privata così ho anche un buono di 300 € di rimborso. Però il mio TFR è maturato, mi prendo i miei soldi, il mio salario differito, ma parte di quello lo ho dovuto lasciare, per legge, ad un fondo azionario, collegato all'euribot e al MIB 30, mi ha fruttato ben il -50% negli ultimi anni, ma che sfiga ragazzi, ho proprio come si suol dire una mano davanti e l'atra dietro!

Però posso sempre ottenere l'incentivo per quelli che rimangono dopo il raggiungimento dell'età pensionabile. In fondo poi, basta adattarsi, si prenderai meno di stipendio, però qualcosa guadagni. Ma cosa vogliono questi extra-comunitari, che oltretutto mi portano via il lavoro e il salario bisogna rimandarli a casa, poi sai rubano e sono dei delinquenti!

Signori miei purtroppo questa non è una farsa, anche se mal recitata, è la realtà che il nuovo modello di sviluppo all'americana, o meglio alla sud-americana che il nostro paese ha intrapreso già da alcuni anni e con il quale 1.500 lavoratori di questa valle, ed innumerevoli altri stanno già e dovranno in futuro convivere!

È stato detto che qui si ci è "fumati" un'altra fabbrica, io aggiungo che qui: tra imprenditori che si fumano le imprese, politici che si fumano le politiche industriali e gli ammortizzatori sociali, a noi, a nostri figli non resta che cenere!

Viva l'Italia.

Furio Mocco
Carcare - 31 Gennaio 2004

I lavoratori dell'indotto non sono lavoratori di serie B

A tutt'oggi la mancanza di notizie certe o anche incerte o perlomeno ipotizzate sul futuro dello stabilimento Ferrania S.p.A. è assolutamente sconcertante, tanto più per una persona che come me lavora nell'indotto di tale fabbrica. Io rappresento, probabilmente, l'ultimo tassello nel variegato apparato produttivo di quest'industria, in quanto sono addetta alle pulizie. Lavoro infatti per una cooperativa che svolge molti dei propri mestieri in ambito Ferrania. La cooperativa di cui sono dipendente non si occupa soltanto delle pulizie, ma impegna varie decine di lavoratori in altre attività terzializzate negli ultimi anni, sia presso la propria sede, sia all'interno della fabbrica stessa. Senza entrare nel merito del tracollo economico, che rappresenterebbe per la Valle Bormida e l'intera provincia di Savona la cessazione delle attività da parte di un'azienda che è fonte di sostentamento per l'economia della regione, vorrei far notare che anche solo un forte ridimensionamento dell'occupazione, avrebbe come prima conseguenza un taglio delle attività svolte dal personale delle imprese occupate nell'indotto.

la protesta dei lavoratori della Ferrania e della ROLAM
nella manifestazione di Genova
foto di Francesco Deriu
L'esperienza degli ultimi anni mi ha insegnato come, ogni volta sia necessario effettuare un risparmio economico, le pulizie (settore di cui ho conoscenza diretta) siano prioritariamente penalizzate, ma non escludo che anche altri ambiti di cui non ho competenza subiscano la stessa sorte. Inevitabilmente il prezzo più alto ricade sugli addetti al servizio, i quali si ritrovano ad operare in condizioni di carichi di lavoro limite e con scarsa possibilità di manovra sociale: in una situazione come quella attuale, sarebbe auspicabile che, i sindacati e le altre forze sociali e politiche, si attivassero per trovare forme di lotta collettiva che implementino gli interessi dei lavoratori della Ferrania con quelli dei lavoratori dell'indotto perché, mio malgrado, ho la percezione che si corra il rischio di creare un clima di rivalità tra dipendenti giustamente tutelati e lavoratori altri di serie "B", quali siamo noi.

Visto il momento politico in cui la maggioranza dei partiti, sia di Centrodestra sia di Centrosinistra, vedono come soluzione prioritaria ai problemi di gestione industriale la massima flessibilità interna è comprensibile che quando il proprio posto di lavoro è a rischio chiunque sia disponibile ad accettare mansioni che in altri momenti sarebbero inammissibili, ma tutto questo non deve essere messo in atto sulla pelle di altri lavoratori. Questi ultimi, nella maggior parte dei casi, sono già pesantemente gravati dal concetto di flessibilità, imposto dalle attuali condizioni di mercato ed io, come molti miei colleghi, ne ho pratica diretta.

Quanto ho esposto vuole essere soltanto un mio modesto contributo alla discussione sulla situazione della Ferrania, nella speranza che le mie preoccupazioni possano essere comprese e condivise.

Monica Marchini
Cairo Montenotte - 26 Gennaio 2004