Il referendum sull'articolo 18 è stata una follia

La strada da seguire resta quella della mobilitazione e della lotta

Premetto, a scanso d'equivoci, che io, pur non essendo d'accordo con l'utilizzo dello strumento referendario per estendere i diritti dei lavoratori considerati i precedenti (scala mobile, referendum del 1995) e gli attuali rapporti di forza presenti nella società italiana e avendolo apertamente dichiarato oltre un anno fa all'inizio della campagna, ho partecipato attivamente, come del resto ha fatto con grande impegno e generosità tutta la CUB, alla battaglia per far vincere il si. Per il semplice motivo che, per usare una metafora, quando una battaglia è in corso, serve a poco a cose fatte chiedersi se fosse il momento opportuno per sferrare l'attacco; quando lo scontro è in atto bisogna scegliere: o di qua o di là. O con i lavoratori o con i padroni, non ci si può astenere. Tanto più che nel caso specifico, dato il meccanismo elettorale referendario, astenersi facendo mancare il quorum era il modo tecnicamente migliore per far prevalere il punto di vista dei padroni.

Quindi le critiche e le considerazioni che intendo svolgere nulla hanno a che fare con le critiche del tutto strumentali e interessate di chi, avendo sposato da tempo flessibilità e profitto come gli unici valori possibili, ha visto il referendum, così come ogni iniziativa tesa a tutelare i diritti dei lavoratori, come fumo negli occhi. Né con altre considerazioni, del tutto illusorie e velleitarie che vedevano nella strada legislativa la via maestra da seguire per tutelare i lavoratori (con gli attuali rapporti di forza presenti in parlamento?). Al contrario ero convinto e resto convinto che la strada da seguire era e resta quella maestra della mobilitazione e della lotta dei lavoratori per la conquista e l'estensione sul campo dei propri diritti, a seguito di cui si possono ottenere anche parziali risultati istituzionali e legislativi (e mai viceversa!). Certo una strada più lunga e irta di difficoltà, ma, come ci dimostra l'esito del referendum, una strada da cui non è pensabile discostarsi alla ricerca di effimere e illusorie scorciatoie.

Ciò detto, penso che indire il referendum per estendere l'art.18 e chiamare a votare su questo tutta la cittadinanza italiana sia stata una follia. Una scelta forse utile per la politica di immagine del PRC (dai risultati, anche delle amministrative, parrebbe proprio di no) ma sicuramente dannosa e deleteria per tutto il movimento dei lavoratori. Ma penso anche che, come tutte le sconfitte, possa diventare per chi si colloca dalla parte dei lavoratori contro il capitale e "per un altro mondo possibile", un occasione da cui trarre preziosi insegnamenti. Del resto che il risultato finale della consultazione evidenzi una pesante sconfitta mi pare un dato inconfutabile che gli stessi promotori, Bertinotti per primo, riconoscono onestamente e apertamente. E siccome i referendum si indicono per vincerli e non per fare opera di testimonianza, risulta evidente a tutti che il 25,7% di votanti è un risultato pessimo che i padroni cercheranno in tutti i modi di sfruttare a loro vantaggio.

Né l'attivo boicottaggio operato nei confronti del referendum da organizzazioni padronali varie, Confindustria in testa, Centrodestra, Margherita, maggioranza dei DS, CISL, UIL e sindacatini corporativi e filo-governativi vari (del resto facilmente prevedibile già all'atto dell'indizione) e dai mass-media che controllano, può essere un alibi per questa sconfitta. Oppure qualcuno dei promotori si aspettava che i padroni, il governo e i neo-liberisti del Centrosinistra ci preparassero ponti d'oro per mandarci a votare contro i loro interessi materiali e contro le loro linee politiche? Ripeto, tutto ciò era preventivabile da prima e in ogni caso non è la causa principale della sconfitta subita. La causa principale sta nel non aver colto che il livello di coscienza della società in relazione ai diritti dei lavoratori era ed è molto arretrato e di conseguenza di essersi infilati da soli in un vicolo cieco. Ma, e qui sta il punto, tutto ciò era percepibile, da chiunque non abitasse su Marte ma vivesse in questo paese, già l'anno scorso. Per cui azzardo due ipotesi:

Comunque sia la dimensione pesantissima della sconfitta va rilevata in tutta la sua drammaticità se vogliamo trarne un insegnamento per il futuro. E il risultato referendario ci dice questo: solo 1 cittadino su 4 (anzi meno considerato che i Sì sono circa 10,5 milioni) è disposto a perdere 10 minuti del suo tempo per sostenere una battaglia che riguarda i diritti dei lavoratori. Cioè, in teoria, poco più della metà dei diretti interessati, considerando che in Italia, a vario titolo, ci sono 20 milioni di lavoratori! In realtà molti di meno, considerando che rilevazioni fatte, a livello empirico ai seggi, mi portano a dire che almeno il 40% dei votanti era composto da pensionati, casalinghe, studenti, ecc... e non da lavoratori. Da questo dato, per quanto possa sembrare brutto (ma 10,5 milioni di persone non sono poca cosa!) dobbiamo ripartire per costruire con la mobilitazione e la lotta, un diverso modo di pensare, innanzitutto tra i lavoratori. Un nuovo modo di pensare che metta al centro gli interessi complessivi della classe anziché la concertazione voluta e praticata da CGIL, CISL e UIL che ha prodotto risultati tragici, non solo dal punto di vista economico e materiale, ma anche nella regressione delle coscienze della maggioranza dei lavoratori.

Per fare questo occorre lavorare per tutelare i lavoratori in ogni azienda contrapponendo i loro bisogni alla logica del profitto. Dobbiamo lavorare per dare vita a una vertenza generale su salari europei, riduzione d'orario, lotta alla precarietà, salario sociale, difesa delle pensioni e del TFR, difesa della sanità e della scuola pubblica e dello stato sociale, lotta alle privatizzazioni, lotte e vertenze senza di cui l'egemonia e la direzione filoconcertativa di CGIL, CISL e UIL non saranno mai messe in discussione. Non sarebbe quindi stato meglio che il PRC, anziché "sospendere il giudizio" e appiattirsi sulla CGIL (che ad oggi, dopo la "rottura" seguita al Patto per l'Italia, ha già firmato ben 41 contratti concertativi con CISL e UIL!) anziché disperdere forze in inutili e dannose battaglie referendarie, costringendo, di fatto, noi tutti a indirizzare energie preziose su questo obiettivo, avesse orientato tutte le sue forze presenti nel movimento dei lavoratori, con noi e con tutte le forze sindacali disponibili e nel pieno rispetto delle reciproche autonomie, verso lo sviluppo di una linea sindacale dei classe, alternativa e antagonista a quella concertativa dei gruppi dirigenti di CGIL, CISL e UIL? Certo probabilmente in un anno o due non avremmo sicuramente conquistato la maggioranza dei lavoratori alle nostre idee e alle nostre proposte sindacali, ma magari avremmo fatto qualche passo avanti nel contendere egemonia e influenza sui lavoratori a Cofferati, Epifani, Pezzotta, Angeletti & c. anziché fare i passi indietro che rischiamo di fare in virtù della sconfitta referendaria. E la strada della ricostruzione di un sindacato di classe è possibile perseguirla anche oggi, a referendum concluso, a partire dal lavoro di preparazione di uno sciopero generale contro le scelte in tema di Legge 30, di pensioni e TFR che il governo Berlusconi sta facendo.

Infine mi pare che il referendum ci consegni un ultimo utile insegnamento. Nel bene e nel male il referendum ha rappresentato una cartina di tornasole e uno spartiacque che ha fatto chiarezza sulla collocazione di classe dei vari partiti, sindacati e schieramenti. Chi ha deciso di stare con i lavoratori lo ha fatto, chi ha deciso di stare con il capitale e con la logica del profitto e della negazione dei diritti anche. Si tratta solo di prenderne atto. Riproporre alleanze elettorali con alcune di queste forze (Udeur, Margherita, maggioranza DS) in funzione della conquista del governo del paese, come se nulla fosse successo, magari in nome della realpolitik e della "inevitabile logica del meno peggio a cui ci obbliga il sistema politico maggioritario", ripercorrere la via che ha portato al pacchetto Treu e al precariato, equivarrebbe a confermare un modo del tutto strumentale del fare politica e sarebbe, temo, la fine della stessa ragion d'essere del PRC.

Enrico Baroni
Segreteria Nazionale FLAICA-CUB
Milano - 8 Luglio 2003