Tutti per il Sì

Il referendum ha un significato nuovo

Luigi MalabarbaSia i promotori che gli oppositori del Referendum per l'estensione dell'art. 18 si stanno scontrando su aspetti a mio avviso ormai non più centrali, rispetto al nuovo scenario politico e sociale inaugurato dall'approvazione della legge delega n. 30 sul mercato del lavoro (già ddl 848). L'attacco governativo punta nuovamente alla cancellazione dell'articolo 18 (e di tutto lo Statuto dei lavoratori), esattamente come agli inizi dello scorso anno, quando incontrò non solo l'opposizione della CGIL, che organizzò la grande manifestazione del 23 Marzo, ma di tutti i sindacati che convocarono unitariamente lo sciopero generale. Le strade poi si divisero con la firma separata del Patto per l'Italia e con il cosiddetto stralcio, che comporterà il non computo dei nuovi assunti nelle imprese con meno di 16 dipendenti, al fine della non applicazione della giusta causa sui licenziamenti (oggi in commissione al Senato come ddl 848 bis). Il governo, tuttavia, non ha mai smesso di tentare ogni via per scardinare lo Statuto dei lavoratori, ma - vista la straordinaria opposizione sociale - è stato costretto a diluire nel tempo e a mascherare l'operazione.

Con l'articolo 1 (comma 2, lettera l) della legge 30, lo Statuto dei lavoratori e la giusta causa non si applicheranno più in tutte le aziende, perché un lavoratore o una lavoratrice potranno essere "ceduti" in qualsiasi momento, senza che debba neppure esistere un ramo d'azienda con una "preesistente autonomia funzionale" cedibile. Ciò significa che, da un giorno all'altro, uno o più lavoratori potranno essere espulsi dalla loro società, pubblica o privata, e non essere più tutelati dallo Statuto nel giro di 24 ore!

Se già il processo di esternalizzazione è stato il principale strumento per frantumare e precarizzare il mercato del lavoro negli ultimi dieci anni, con i decreti attuativi della legge recentemente approvata l'aggiramento dell'articolo 18 è già in essere anche per i dieci milioni di lavoratori che già ce l'hanno. La situazione è gravissima e solo pochi esponenti della sinistra e del sindacato stanno dando la giusta attenzione al fenomeno, nonostante da settimane giuristi del calibro di Alleva e Naccari abbiano fornito al Direttivo nazionale della CGIL un dettagliatissimo contributo in materia. A questo punto, anche il Referendum sull'articolo 18, nato per estendere la giusta causa alle piccole imprese, ha assunto un significato tutt'affatto diverso. A parte le falsità sulla presunta catastrofe per quelle aziende, che deriverebbe dall'applicazione di questa norma di civiltà (basterebbe vedere proprio in Emilia e Romagna quanti accordi hanno già introdotto tutto lo Statuto in queste imprese da almeno 20 anni e come ciò non abbia influito per nulla sulla loro salute), ma qui non è più essenzialmente di queste che si tratta.

Il Sì al quesito referendario com'è formulato è oggi l'unico strumento per vanificare l'aggiramento dell'articolo 18 per tutti, proprio perché - estendendolo anche alle imprese con meno di 16 addetti - impedisce la terziarizzazione selvaggia, teorizzata ed esplicitamente citata dal sottosegretario al Lavoro, Sacconi, come la chiave di volta dell'operazione. E impedisce anche la parziale manomissione attraverso l'848 bis, ridotto a specchietto per le allodole.

Ma c'è dell'altro. Oltre ad essere impraticabile, sia per ragioni di tempo sia per ragioni giuridiche, l'eventuale abrogazione referendaria di una legge delega (come prospettato in un primo tempo dalla CGIL), solo l'estensione del diritto all'articolo 18 tutela anche chi ce l'ha. Ossia, il Referendum è straordinariamente più efficace di quanto non lo fosse originariamente per i suoi promotori. La vittoria del Sì è indispensabile e irrinunciabile per tutti coloro che non siano organicamente arruolati alla Confindustria. Altro strumento per sconfiggere questa iniziativa drammatica non c'è e non ci potrà essere, a meno di far cadere il governo domattina.

Il tema oggi è questo. Chi si attarda a polemizzare su altro, anche tra i promotori, rischia di non mettere in guardia la gran massa dei lavoratori che, al momento, si sentono coinvolti solo politicamente e non praticamente dal Referendum. Basterebbe invece che ciò fosse risaputo per garantire il quorum, il successo del Sì e una sconfitta bruciante per D'Amato e Berlusconi, abbassando magari - perché no? - i toni dello scontro a sinistra. Forse sarò ingenuo, ma non mi è chiaro perché questa semplice verità non venga a galla e non diventi l'asse portante della campagna. Mi auguro che qualcuno batta un colpo. Oppure dobbiamo registrare che l'obnubilamento e il politicantismo sono diventati così volgarmente dominanti da farci dimenticare l'esigenza di difendere lo Statuto dei lavoratori sotto tiro nell'unico modo possibile: votando Sì in massa il 15 Giugno.

Luigi "Gigi" Malabarba
Capogruppo PRC al Senato
Roma - 3 Giugno 2003