Elezione diretta dei sindaci

Bilanci e prospettive

Il turno elettorale del 13 e 27 Giugno 2004, ha rappresentato il primo punto importante di verifica circa lo stato d'applicazione della legge 81/93, sull'elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia, con l'introduzione del limite di mandato a due tornate amministrative. Si è posto, quindi, l'interrogativo riguardante il funzionamento del meccanismo legislativo che, appunto, 11 anni fa ha trasformato radicalmente la forma di governo nelle Istituzioni Locali: se esso, cioè, avesse corrisposto agli intendimenti fissati dal legislatore, al momento dell'approvazione del progetto da parte del Parlamento.

Vale, allora, la pena di fare un passo indietro cercando di riscoprire le motivazioni di fondo che erano espresse, all'epoca, dall'interno del sistema politico sulla spinta di una forte mobilitazione di base (erano i tempi della stagione referendaria, rivolta al cambiamento del sistema politico, in tema di legge elettorale, di finanziamento ai partiti, di semplificazione della macchina amministrativa). È necessario ricordare, prima di tutto, come il progetto di elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia rappresentasse il terzo passaggio, nel giro di pochi anni, di un tentativo di riforma del sistema degli Enti Locali e della Pubblica Amministrazione: nel 1990, infatti, erano state approvate, in sequenza, la legge n.142 sull'ordinamento degli Enti Locali, che sostituiva la vetusta legge comunale e provinciale (i cui prodromi risalivano, addirittura, alla primissima fase dello Stato unitario) e la legge 241 sulla trasparenza amministrativa. Le legge 142 (oggi compresa e modificata all'interno del T.U 267/2000, anch'esso comunque da considerare un cantiere in fase di ristrutturazione) prevedeva, quale punto di forza della sua proposta di innovazione, l'autonomia statutaria. In quello stesso 1990, come già ricordavamo, era stata approvata anche la legge 241, sulla trasparenza amministrativa (sarebbe seguita anche la legge 29 del 1993 sulla finanza pubblica).

Nel riprendere i temi fondamentali sui quali si sviluppò quella discussione che portò alla scelta dell'elezione popolare dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia, tentando anche di riportarci al confronto attuale al fine di stabilire parametri di valutazione il più possibile oggettivi, rimane da ricordare come, al tempo, fosse già in atto il profondissimo riallineamento del sistema politico italiano che oggi, nonostante le rilevantissime modificazioni avvenute sul piano delle relazioni istituzionali ed anche di modifica dello stesso dettato costituzionale, appare ancora in piena fase di transizione. Nel frattempo si sono verificati rilevanti cambiamenti anche sul piano del costume politico, soprattutto attraverso l'estensione del fenomeno della personalizzazione della politica, attraverso l'uso, pervasivo ed esaustivo, dei grandi mezzi di comunicazione di massa, in materia di comunicazione politica.

Torniamo però al dibattito in corso, nei primi anni'90. La tematica delle modalità e delle tecniche di traduzione dei voti in seggi assumeva, all'epoca, un più forte rilievo, dal momento in cui una diffusa crisi istituzionale, definita, sia pure con una terminologia riduttiva, di "governabilità" costituiva un dato di comune osservazione, poiché si evidenziavano profonde distorsioni nella vita delle istituzioni e nei relativi rapporti con i cittadini. Una crisi istituzionale, quella in atto nell'avvio degli anni'90, che si inquadrava, a sua volta, in una crisi di rappresentatività del sistema politico-istituzionale nel suo insieme, fino ad assumere, fra l'altro, profili di maggiore criticità in determinate aree del Paese (si pensi agli attentati mafiosi della primavera-estate 1992).

La modifica del sistema elettorale appariva come la soluzione più immediata ai problemi fin qui enunciati (ed anche la più matura nella coscienza civile del Paese: come era stato verificato fin dal referendum sulla preferenza unica del Giugno 1991), tanto più che lo stesso sistema proporzionale, in uso fino a quel momento, non era riuscito a garantire la stessa rappresentatività per tutti i partiti, e pareva aver rappresentato un elemento di costo enorme, avendo limitato lo stesso funzionamento della democrazia rappresentativa. Tali considerazioni apparivano valide, soprattutto a livello locale, dove la legislazione elettorale in allora vigente, pareva perpetuare molteplici aspetti negativi della vita politica nazionale.

Nelle analisi prevalenti, svolte al tempo, sul "rendimento" dei governi regionali e locali si affermava, infatti, sotto tale profilo che, oltre ad un'estraniazione degli elettori dalla vita politica, il sistema elettorale in uso, a livello regionale e locale, imponeva un'omogeneizzazione della realtà locale, rispetto a quella nazionale mortificando il senso stesso di vitalità e di autonomia sul piano politico locale, ed evidenziando una tendenza al prevalere dei partiti sul potere di decisionalità delle giunte locali, una scelta elettorale basata sul modello dei rapporti di forza instauratisi al centro (i più anziani ricorderanno i tempi del "preambolo Forlani" uno e bis), ma, soprattutto, una dispersione ed una deresponsabilizzazione dei centri politico-istituzionali locali.

Il tema della revisione della forma di governo degli Enti Locali e quello, ad esso strettamente collegato, della ristrutturazione nei modi e nelle forme della rappresentanza politica all'interno delle istituzioni autonomistiche, assumeva così, a seguito delle considerazioni appena riferite, una propria autonomia nell'ambito del dibattito politico e dottrinario, rispetto alla tradizionale impostazione che subordinava un eventuale "ripensamento" delle Istituzioni Locali, alle esigenze ed ai "tempi" di un processo di ridefinizione della forma di governo dello Stato Centrale.

All'interno di questo quadro di riferimento, sul piano generale, si giunse così alla legge sulla designazione popolare del Sindaco e della maggioranza (legge n.81/93). La legge fu finalizzata all'individuazione di "centro sicuro di responsabilità ed iniziativa politica, sia all'interno dell'esecutivo comunale, sia nei confronti del corpo elettorale", postulando che il Sindaco potesse scegliere "intuitu personae" i componenti della Giunta, all'interno o all'esterno del Consiglio (in una dimensione determinata, nell'ambito di parametri indicativi previsti dalla legge, dall'autonomia statutaria).

L'effetto istituzionale derivante dall'accoglimento del principio dell'elezione diretta che più ha concorso alla trasformazione della forma di governo locale, in quella che era in allora l'accezione parlamentare a tendenza assembleare, era tuttavia rappresentata dall'esclusione dell'istituto (per l'appunto, di natura parlamentare) della fiducia da parte del Consiglio, nei confronti del Sindaco e della Giunta (o meglio, dell'esercizio di questa possibilità soltanto passando attraverso le forche caudine della cosiddetta "clausola di dissolvenza": ovvero, il classico "tutti a casa"). Rientrava nel principio della investitura popolare che il Sindaco e l'esecutivo rispondessero direttamente solo al corpo elettorale, e non al Consiglio, sebbene a quest'organo fossero riconosciuti penetranti poteri di controllo sull'azione politico-amministrativa della Giunta (sull'effettivo utilizzo dei quali andrà, comunque, aperto un capitolo a parte). Strettamente collegato al principio di quella che è stata definita come "clausola di dissolvenza" è stato, nel caso di conflitto tra Consiglio e Giunta, il ricorso allo scioglimento anticipato e allo svolgimento di nuove elezioni, per restituire alla fonte di legittimazione democratica, il corpo elettorale, la risoluzione del conflitto.

Una volta chiarito che dal ricorso all'elezione diretta è discesa una netta trasformazione della forma di governo locale, occorrerà aggiungere che il carattere accentuatamente monocratico, assunto (in via di fatto, oltre che di diritto) dall'assetto istituzionale degli Enti Locali, è apparso strettamente correlato alla scelta concreta del meccanismo elettorale-rappresentativo ed alle soluzioni che, proprio in quel senso, sono state adottate. La scelta di un sistema di elezione diretta, fondato sull'assegnazione di un premio di maggioranza con l'attribuzione dell'incarico di Sindaco ad un "leader" di coalizione (è proprio questo il punto, infatti, su cui è stato necessario insistere, per le forze politiche, sulla necessità di acquisire una mentalità di relazione reciproca, ben diversa da quella del passato: riferita, appunto, alla capacità "coalizionale") pur nell'ambito di un sistema che, come abbiamo già visto, ha rafforzato il potere monocratico del capo dell'esecutivo, è apparsa una soluzione più temprata e più adeguata ad un sistema politico, quale quello italiano, rimasto caratterizzato comunque da un grado elevato di "multipartitismo" (non ridotto, fra l'altro, dal cambiamento delle leggi elettorali, avvenuto proprio a partire dal 1993, per il Parlamento Nazionale e, successivamente, anche per le Regioni) ed alla conseguente necessità di incentivare la formazione di schieramenti alternativi. Così come, infine, il limite del doppio mandato imposto a Sindaci e Presidenti di Provincia (indipendentemente dalle dimensioni dell'Ente rappresentato) assunse il significato di corrispondere ad un'esigenza di ricambio della classe politica, resa urgente dall'esplosione della "questione morale", che caratterizzò tutta la fase centrale dei già più volte richiamati, anni'90.

Abbiamo così accennato, in estrema sintesi, ai presupposti teorici e alle esigenze politiche insorgenti all'epoca, che determinarono le scelte sulle quali fu ispirato il testo della legge 81/93: oggi, a distanza di 11 anni, avendo una gran parte degli Enti completato il primo ciclo amministrativo, con l'espletamento del doppio mandato da parte del Sindaco o del Presidente e con il conseguente ricambio verificatosi, in vaste dimensioni, con le elezioni dello scorso 13 Giugno, è forse il caso di porsi l'interrogativo rivolto verso un'analisi, tesa ad individuare i punti di forza e quelli di debolezza palesatisi nel corso dell'applicazione concreta di questo dettato legislativo.

Prima di addentrarci in un'analisi di merito è il caso, comunque, di riassumere i mutamenti di quadro legislativo cui abbiamo assistito, nel corso di questi anni, che hanno profondamente modificato funzioni, ruoli, assetto complessivo degli Enti Locali. Mutamenti avvenuti, sia sul piano costituzionale, sia legislativo " a Costituzione invariata", e comunque sotto una spinta duplice (e, per certi versi, contraddittoria): da un lato riemergeva la frattura "centro /periferia", sollevata in forma estremizzata da determinate forze politiche (la cosiddetta "devolution") e accettata, in ogni caso, più o meno da tutti nella forma del "federalismo" o del "decentramento forte"; dall'altro lato si affermava, oggettivamente, il meccanismo, innescato dal velocizzarsi dei meccanismi di globalizzazione economica e comunicativa e reso concreto dal procedere dell'unificazione europea, della cessione di sovranità da parte dello "Stato-Nazione".

In ogni caso abbiamo registrato, prima di tutto, il cambiamento delle leggi elettorali, sia per il Parlamento centrale sia per le Regioni (nelle Regioni l'elezione diretta del presidente è stata fissata con la legge costituzionale 1/99). Il risultato della modifica dei sistemi elettorali è stato quello di votare, per ogni singola elezione, con sistemi diversi (tutti misti: maggioritario e proporzionale, ma in rapporto diverso tra i due metodi, secondo i casi). Nel frattempo la personalizzazione della politica si è imposta quale fattore decisivo, al riguardo del consenso necessario da raccogliere attorno alle proposte da sottoporre all'attenzione dell'elettorato. In questo modo, attraverso il fenomeno della personalizzazione della politica, si è esaltato, in particolare, il ruolo dei Sindaci, al punto che abbiamo assistito al fenomeno, fino a questo punto abbastanza inusuale nella storia italiana del dopoguerra, di esponenti politici di rilievo nazionale ritornati al livello "locale", proprio per esercitare quel tipo di funzione.

Altri fattori hanno, comunque, contribuito a delineare un nuovo quadro di riferimento, per gli assetti istituzionali degli Enti locali: sul piano delle riforme " a Costituzione invariata" sono da ricordare le leggi sul decentramento e la semplificazione amministrativa, meglio note come "Bassanini"; mentre di sicuro rilievo è da considerare la modifica del Titolo V della Costituzione, avvenuta in conclusione della legislatura 1996 - 2001 (poi confermata da un referendum popolare, tenutosi il 7 Ottobre 2001), laddove è stata stabilita una diversa composizione nella struttura dello Stato (lo stato è formato da Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane); si sono costituzionalizzati i concetti di sussidiarietà orizzontale e verticale, definendo i livelli di legislazione esclusiva, concorrente, residuale; si è introdotto il federalismo fiscale (in realtà, fino ad ora, come puro punto di principio, perché il dettato dell'art.119 della Costituzione modificata, non ha ancora trovato concreta applicazione legislativa).

In conseguenza di ciò le Regioni sono state chiamate a modificare i propri Statuti ed è così iniziata una faticosa opera di revisione ancora in corso, dall'andamento alterno tra Regione e Regione, accumulando ritardi e dimostrando come le Regioni stesse trovino difficoltà a adattarsi a quel "Federalismo asimmetrico", pure previsto proprio dalla modifica del titolo V della Costituzione nel punto, appena sopra citato, attraverso il quale si introducono i concetti di sussidiarietà verticale e orizzontale. La tortuosa stagione delle "Riforme all'Italiana" non può però dirsi certamente conclusa, poiché incombe l'iter parlamentare di modifica del titolo II della Costituzione (forma di governo, Senato federale, "devolution"): una prima approvazione di un testo di emanazione governativa si è già avuta in Senato lo scorso 25 Marzo, ma il prosieguo della vicenda appare strettamente legato alle complesse questioni, interne all'attuale maggioranza di governo.

Torniamo, allora, alla domanda iniziale: quali luci e quali ombre si sono proiettate sulla legge di elezione dei Sindaci, a questo punto, che possiamo definire come di "passaggio" per l'intera vicenda del sistema politico italiano, soprattutto al riguardo delle relazioni tra centro e periferia? Il bilancio appare sicuramente positivo sotto l'aspetto dell'aver assicurato la stabilità di governo delle amministrazioni. I casi di scioglimento in corso d'opera sono stati limitati e dovuti, per lo più, a cause esterne: rarissime le crisi politiche (anche perché l'ampio margine fornito dal premio di maggioranza, ha consentito ai Sindaci di porsi al riparo anche da mutamenti di collocazione in Consiglio, da parte di gruppi minori).

La limitazione al secondo mandato ha generato, invece, fenomeni contraddittori, suo quali sarebbe bene aprire la riflessione: da un lato il fenomeno più evidente (apparso, indipendentemente dalle dimensioni dell'Ente) è stato quello di una sorta di proliferazione di candidature nate all'ombra del Sindaco uscente, non più ricandidabile per raggiunte limite di mandato: addirittura abbiamo verificato casi (non isolati) di contrapposizione tra ex - assessori della Giunta uscente, segno evidente , prima di tutto, di una scarsa capacità delle forze politiche di svolgere una funzione "forte" di indicazione delle candidature (il ruolo delle forze politiche nel sistema "locale" meriterebbe, comunque, un punto di particolare approfondimento) e, in secondo luogo, di scarsa capacità di trovare, all'interno del gruppo che comunque aveva governato assieme per anni, elementi di valida coesione sul terreno della leadership e dell'impianto programmatico; dall'altro canto, invece, si è verificato un fenomeno di più limitate proporzioni sul piano numerico, di formazione, al momento dell'abbandono forzato da parte del Sindaco uscente non più ricandidabile, di una sola lista senza concorrenti, quasi a segnalare come l'assunzione di ruolo da parte del primo cittadino già in carica fosse riuscito a compattare, all'interno di un progetto comune, le diverse tensioni di natura politico-amministrativa espresse nelle specifiche situazioni. Insomma: dall'elezione diretta del Sindaco sono emersi punti di sviluppo nella dinamica politico-istituzionale, ben più complessi di quelli ricompresi nella semplice "dialettica dell'alternanza".

Il secondo punto da porre in evidenza, quale elemento importante di un possibile bilancio di questi 11 anni di vigenza della legge 81/93, riguarda il rapporto venutosi a creare tra il Sindaco, la Giunta ed il Consiglio Comunale. Si tratta di un elemento da sottoporre ad attenta verifica (anche in previsione di una possibile modifica legislativa), in quanto le funzioni di indirizzo e controllo determinate dalla legge per il consesso elettivo, non sono state complessivamente esercitate al meglio, vuoi per un'assunzione progressiva di una sorta di "strapotere" da parte dell'organo monocratico (favorito anche dal progressivo affermarsi del concetto di separazione tra politica ed amministrazione, realizzatosi anche attraverso concreti atti amministrativi, in particolare al riguardo di ruolo e funzioni dei dirigenti dei servizi, mentre le giunte hanno via, via, progressivamente, affermato un ruolo di accentuata "residualità"), e di "ritiro" da parte di coloro che si sono trovati a fare parte del consesso elettivo, limitatisi - nella maggior parte dei casi - al ruolo di "ratificatori dello status quo", di maggioranza o di opposizione, a seconda dei casi.

Lo sviluppo pieno di una dialettica democratica, fondata sul principio delle funzioni di indirizzo e controllo da parte dei Consigli, appare quindi in difficoltà : una difficoltà che rappresenta un elemento da valutare, pensando anche a possibili proposte di modifica della situazione attuale, poste sul piano della normativa che deve regolare questo delicato piano di relazioni istituzionali.

Alcuni dati relativi al "Caso Liguria"

Le elezioni amministrative del 13 Giugno 2004 hanno significato, in Liguria, l'avvio di un profondo processo di rinnovamento nella classe dirigente: su 168 comuni chiamati alle urne, infatti, in ben 121 si è registrata l'impossibilità per il Sindaco uscente di ripresentare la propria candidatura, avendo raggiunto il limite del secondo mandato.

Da notare che, in Liguria, non si votava nei principali comuni (salvo Imperia) e che si sono registrati soltanto 2 casi di ballottaggio (Rapallo e Sanremo). Nei 47 comuni dove il Sindaco uscente poteva ripresentare la propria candidatura si sono avute 37 riconferme (9 nella provincia di Genova, 9 ad Imperia compreso il capoluogo, 6 a La Spezia e 13 a Savona); non si sono comunque ricandidati 4 Sindaci (1 in Provincia di Genova, 2 ad Imperia, 1 a La Spezia) mentre in 6 occasioni, il primo cittadino uscente è risultato sconfitto (1 volta in provincia di Imperia, 1 a La Spezia e 4 a Savona). Si sono verificati, tra le province di Savona ed Imperia, 8 casi di presentazione di "lista unica", a dimostrazione della limitatezza del fenomeno (Vendone, Urbe, Ortonovo, Ranzo, Montegrosso Pian Latte, Cesio, Castellaro, Aquila d'Arroscia).

Una dimensione di sicuro rilievo ha assunto il fenomeno di una sconfitta della lista sostenuta dal Sindaco uscente non più ricandidabile (in molti casi con risultati modesti, sul piano delle espressioni di preferenza, proprio per gli ex-Sindaci candidatisi per un posto di consigliere). Un fatto accaduto in Comuni come Laigueglia, Noli, Sassello, Piana Crixia, Sori, Cosseria, Finale Ligure, Lavagna, Santa Margherita Ligure (in questi due ultimi Comuni i Sindaci uscenti, ricoprono anche il ruolo di deputato), Rapallo, San Bartolomeo al mare (Sanremo, naturalmente, rappresenta un caso a parte).

Rivolgiamo, infine, uno sguardo al colore politico delle Amministrazioni. In realtà, l'individuazione del colore politico delle nuove amministrazioni, è stato un lavoro difficoltoso per via dei molti casi di "trasversalità" (dovuti, in determinati frangenti, anche a quel fenomeno di contrapposizione tra esponenti delle giunte uscenti, che ha dato origine a molte alleanze assolutamente "spurie" sul piano politico) e di assoluta origine "civica", delle liste partecipanti alla competizione elettorale.

Fatta salva la premessa appena sovraesposta abbiamo potuto individuare, sulle 168 amministrazioni comunali rinnovate in Liguria tra il 13 ed il 27 Giugno 2004, 48 amministrazioni appannaggio del centrodestra, 79 del centrosinistra e 41, per l'appunto, "civiche". Questa la relativa suddivisione a livello provinciale:

ProvinciaCentrodestraCentrosinistraCiviche
Genova17288
La Spezia519/
Imperia13718
Savona132515

Franco Astengo
Savona - 28 Giugno 2004