Morale e politica, una difficile convivenza

Valeria Ottonelli è la protagonistra della nona lezione della Scuola di politica

Una lezione anche "storica" quella che la professoressa Valeria Ottonelli, docente di filosofia politica presso l'ateneo di Genova, ha tenuto alla "Scuola di politica": esporre, infatti, il legame tra la morale e la politica non può prescindere dalle evidenti connessioni storiche che vi sono nel cammino del comune etico sentire di un popolo con il suo percorso di gestione del benessere sociale, di quella che viene ricordata come la "res publica".

L'incipit viene dal "De officiis" di Valeria Ottonelli e Giovanni La GrotteriaCicerone, lo stesso dove si trova la famosa frase "summa ius, summa iniuria", a significare che l'applicazione massima del diritto molto spesso può condurre ad una violazione medesima delle norme, e quindi ad una produzione di ingiustizia. Nel libello del console romano, fiero avversario di Catilina, Cesare e Marco Antonio, si possono infatti trovare tutte le caratteristiche dell'uomo politico "virtuoso", di colui che deve aspirare a conseguire, in comunione con i suoi simili, la salute dello Stato, lo sviluppo civile, giuridico e morale del corpo sociale di cui lui medesimo fa parte. La sua condotta di vita, privata e politica, deve pertanto essere trasparente, allontanandosi da qualunque tentazione di occupazione del potere per fini personali, oppure per trarne un vantaggio economico o di altra natura.

L'uomo politico ciceroniano è in simbiosi con quell'armonia comunitaria che gli impedisce di mettere, anche solo per un attimo, in competizione il pubblico interesse con quello privato. Non c'è discussione di sorta. Cicerone liquida sic et simpliciter come contrario al bene della repubblica chiunque, dedicandosi all'arte della politica, lo faccia con il segreto, celato e oscuro intento di sovvertirne le istituzioni, le leggi e, conseguentemente, la morale che le ispira, per deviare il corso degli eventi su un utilitarismo del tutto singolo e singolare.

Il politico di Cicerone è un uomo "eccelso" e "virtuoso" che ha nell'onestà il suo cardine comportamentale. Dotato di uno stoico autocontrollo non è vittima delle passioni, e sà accettare i rovesciamenti della fortuna. Non risparmia tratti di umanità e clemenza anche con il nemico (come ad esempio Attilio Regolo nelle Guerre Puniche). Questi non va alla ricerca di onori e gloria, ma rispecchiando le vecchie idee platoniche si pone a servizio esclusivo dello Stato.

Il virtuosismo del politico romano è quasi una legge superiore a quelle scritte nelle Dodici Tavole o dagli antichi padri della Roma repubblicana. Che una impronta comportamentale di questa sorta venga poi da un uomo discusso e controverso come Cicerone, meriterebbe una discussione a parte. Contestualizzando le parole del "De officiis", si può ben vedere come anche al tempo dell'oratore più famoso di Roma la corruzione non fosse una chimera, ma una presente realtà con cui i magistrati e le alte cariche tribunizie dello Stato avevano a che fare, e con non troppo successo.

La morale che Cicerone immette nella politica non è, dunque, una cieca produzione di chi non vuol vedere la realtà del mondo che lo circonda: è un'indicazione molto chiara, netta. Non è neppure moralismo: non c'è tanto la condanna di chi non segue i precetti della virtù politica; semmai vi si riscontra l'esortazione a seguire determinate condotte, precetti e ispirazioni a volte più pragmatiche, altre volte più ideali, che consentono di adoperarsi al meglio per quella che è la "salus publicae", ossia la "suprema lex".

Di tutt'altra impronta l'impostazione "opportunistica" di Niccolò Machiavelli. Lontana dal gli studenti della Scuola di politicarichiamare un legame con la virtù, sia essa al plurale che al singolare, tuttavia la filosofia politica dell'autore de "Il Principe" persegue con determinazione sempre lo stesso scopo: il benessere umano, civile e sociale. Dunque adopera e costruisce una propria morale per una propria politica. La fredda interpretazione delle relazioni umane si scioglie in Machiavelli nel proclamare la finalità del benessere collettivo raggiungibile con qualunque mezzo (famoso il detto: "Il fine giustifica i mezzi"). E non del tutto vero che non vi sia relazione tra il "machiavellismo" e l'istruzione politica ciceroniana. Cicerone affermava: "un buon politico deve avere le giuste conoscenze, stringere mani, vestire in modo elegante, tessere amicizie clientelari per avere un'adeguata scorta di voti". Il nostro fiorentino si uniforma a questa idea del "principe" che non può legarsi mani e piedi ai sentimenti, alle proprie pulsioni, ma che deve anche avere una buona dose di sana spregiudicatezza: ovviamente sempre e solo devoluta alla causa del bene comune. Del resto, la fiducia che Machiavelli ripone nell'uomo è proporzionale ad una concezione "ciclica" della storia, per cui pensa che i tempi si susseguano ma che possano anche "tornare" e che, pertanto, gli esseri umani siano in parte vincolati a vivere e rivere anche i loro errori e a sanarli con la razionale analisi del conseguimento del maggior bisogno e del miglior benessere.

Potremmo, in sostanza, dire che tutta la storia umana è attraversata da una morale che insegue la politica e cerca di influenzarla per il soddisfacimento della migliore vita possibile per gli uomini e le donne di ogni tempo. La stessa interpretazione del fenomeno economico diviene oggetto di analisi morale, di scrupolosa definizione di ciò che è fattibile e di ciò che, invece, danneggia la società.

A cominciare da Cicerone, passando per Machiavelli ed arrivando a Jospeh Schumpeter con la definizione dell' "equilibrio economico generale", la morale e la politica sono due nemiche-amiche. Si frequentano, si incontrano e raramente contraggono matrimonio per lungo tempo. A volte una delle due cerca di ignorare le influenze che l'altra può avere su di lei; altre volte si ignorano consapevolemente. Altre volte ancora una delle due cerca e trova il modo di imporsi in modo assoluto, stabilendo così un regime di costrizione che asservisce tutte le caratteristiche della morale alla politica o di quest'ultima alla morale.

Nell'era di George W. Bush, conclude la professoressa Ottonelli, questo irrigidimento della morale è ancora più foto di Piera Barberisevidente che nei decenni passati. E, tuttavia, c'è un legame indissolubile tra una intransigente morale, una ossessiva stagnazione dei princìpi di solidarietà, uguaglianza e fratellanza e una politica mediocre, consegnata ad un ruolo meramente servile. Anche i più elementari formalismi sono banditi da una distruzione della partecipazione alla politica da parte dei cittadini.

Ci si inventano così nuove forme organizzative, nuove espressioni di aggregazione sociale per coinvolgere la gente in un finto gioco di delega al presidente o ai ministri di un potere decisionale pressochè indiscusso.

Risollevare le sorti della morale, intesa come espressione virtuosa del raggiungimento del bene comune, è un compito che spetta a chi non si rassegna alla contrapposizione secolare di questa con la politica. Morale e politica possono convivere e puntare alla coincidenza storica. Le dinamiche per arrivare ad un risultato così grande si possono costruire con un lento lavoro, paziente e meticoloso. Insomma, citando Ivan Della Mea: "Il diritto alla gioia è da inventare".

Stefano Maggiolo
Marco Sferini
Savona - 16 Aprile 2007