L'amministrazione locale e lo sviluppo economico del territorio

Lo sviluppo locale e i principi della programmazione in Italia

La politica di sviluppo locale è venuta assumendo, nell'ambito delle politiche regionali, europee e nazionali, contorni sempre più precisi, in termini non solo e non tanto di quantità di risorse destinate alle misure di sviluppo locale della politica regionale europea, ma in termini di qualità ed efficienza di tali misure. A questo scopo, si avverte la necessità di rafforzare la coerenza e l'organizzazione territoriale delle misure e delle competenze, affinché possa essere rafforzata l'idea dello sviluppo, che si basa essenzialmente sulla sensibilizzazione delle società locali le quali diventano responsabili, attraverso processi di autogoverno, della valorizzazione del patrimonio territoriale.

Nel contesto appena sopra delineato, dove emerge la centralità dell'Ente territoriale nell'attivazione dello sviluppo locale, insieme al nuovo ruolo professionale degli attori privati, si evidenzia la necessità di disporre di strumenti di programmazione che garantiscano alla partnership una struttura solida, ed al tempo stesso flessibile, per poter fornire una risposta reale all'evoluzione delle esigenze locali.

L'idea di fondo che deve ispirarci, in materia di programmazione negoziata, è la consapevolezza che per dare un forte impulso allo sviluppo locale, in termini soprattutto di occupazione, non è più sufficiente l'attitudine all'innovazione delle imprese e , in generale, del solo settore privato: è necessario, infatti, un coordinamento degli attori pubblici e privati, in modo da inventare modi di intervento più efficaci e risposte più dirette ad esigenze collettive per nulla, o poco, soddisfatte. L'innovazione del processo di programmazione si colloca, quindi, a livello di intervento e mobilitazione degli attori, sia pubblici, sia privati, ma anche in quello della collettività, combinando azioni che ottimizzino lo sviluppo del proprio territorio di riferimento.

Questa modalità di intervento genera una vera e propria cultura imprenditoriale che punta a rendere i Comuni protagonisti non banali dello sviluppo, infatti, ciò che sembra coerente con il fatto che, essendo ogni territorio peculiare dal punto di vista degli attori che vi operano, delle risorse e delle potenzialità, è indispensabile che gli Enti territoriali possano avere la facoltà di appropriarsi dei programmi di sviluppo, modificandone l'indirizzo, per trasformarli in progetti finalizzati ai bisogni e alle priorità delle persone, delle organizzazioni e, in generale, della collettività interessata.

Questo approccio che caratterizza la gestione delle politiche locali, basato su di un pluralismo di centri decisionali, partecipante alla definizione e alla gestione dei programmi, rappresenta il cuore della programmazione negoziata, che infatti è definita come la "regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private per l'attuazione di interventi diversi, riferiti ad un'unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza" (art.2, comma 203, legge 662/1996 "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica").

La programmazione negoziata costituisce il momento istituzionale di raccordo tra Amministrazione centrale e regionale, in tema di programmazione strategica territoriale. Il fatto di coinvolgere livelli intermedi di programmazione e di prevedere una "forza" contrattuale alla base della realizzazione dei programmi, porta ad ottenere alcuni importanti effettivi positivi, in termini di responsabilizzazione dei partner coinvolti nella soddisfazione delle proprie competenze; razionalizzazione, grazie all'individuazione di obiettivi e aree circoscritte su cui concentrare sforzi e risorse; flessibilità operativa, grazie alla pluralità di strumenti e di procedure applicabili; semplificazione dei provvedimenti amministrativi.

È la stessa legge 662/1996 a fornire una definizione degli strumenti di programmazione negoziata, intesi come istituti negoziali ad hoc in relazione al livello istituzionale coinvolto ed alle caratteristiche degli interventi, e finalizzati a gestire "interventi che coinvolgano una molteplicità di soggetti, pubblici e privati, e che implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico di Amministrazioni statali, regionali e delle province autonome, nonché degli Enti Locali".

La programmazione negoziata, caratterizzata da una gerarchia di istituti, operanti con una logica integrata, è costruita ad hoc rispetto al livello istituzionale coinvolto e alla specificità degli interventi proposti. L'idea base della programmazione negoziata è quella di avere uno strumento principe "l'intesa istituzionale di programma", che costituisce il livello gerarchicamente più elevato e comprendente gli istituti inferiori, i quali, a loro volta troveranno nell'intesa il quadro istituzionale di riferimento.

La logica sottostante questo processo (dal punto di vista teorico) è quella di procedere per gradi nell'elaborazione delle politiche per lo sviluppo, poiché si ritiene essere l'approccio più adeguato per conoscere il territorio, coglierne le istanze e tradurre i piani strategici, che diventano così coerenti con le esigenze locali, in programmi esecutivi. Ciascun istituto della programmazione concertata racchiude poi, al suo interno, gli interventi da effettuare che, coerentemente con la pianificazione a livello europeo, sono progettati per obiettivi funzionalmente collegati e non per settori.

Attualmente si deve, però, dire che questo obiettivo di avere l'intesa come effettivo e reale livello istituzionale non è ancora stato pienamente raggiunto, e la dimostrazione è data dalla realizzazione di istituti inferiori, quali patti territoriali, accordi di programma e contratti d'area, indipendentemente , e in assenza, di stipulazione di un'intesa.

Concludendo, si è giunti ad osservare come i processi programmatori ai tre livelli di programmazione siano strettamente connessi, perché tutti si basano su un'idea di fondo comune che è quella del progetto, il quale deve essere di lungo periodo, integrato e deve coinvolgere più soggetti pubblici/privati, per poter effettuare interventi concreti e tempestivi a sostegno dello sviluppo locale. Si è potuto, inoltre, constatare che la programmazione, sia ordinaria, comunitaria o negoziale, consente di decentrare tutte le fasi del processo stesso, dalla progettazione all'attuazione, coinvolgendo una pluralità di soggetti e di livelli amministrativi; la programmazione è dunque in linea con il progetto di decentramento amministrativo delineato prima dalla riforme "Bassanini", ed attuate solo in parte, e successivamente sostenuto chiaramente nella stesso riforma del titolo V della Costituzione che, in alcune parti, rimane tuttora in attesa di reale attuazione.

Questo discorso riferito essenzialmente allo sviluppo locale, trova necessità di essere portato avanti con forza, se si considera che oggi gli studi principali in Europa sull'economia regionale e locale hanno chiarito che la competitività delle imprese di più ridotte dimensioni ha radici locali, perché si intreccia a competenze, servizi, risorse ambientali, infrastrutture che sono accessibili soltanto legando a filo doppio le strategie di sviluppo dell'area, alle strategie dei settori economici presenti.

Ma se la competitività è un fenomeno "territorializzato", anche l'economia e la politica economica che si propongono di sostenerla devono assumere forma territoriale, non solo nel senso di essere disegnate e gestite con obiettivi e modalità differenti da luogo a luogo, ma anche ne senso di essere espressione degli attori locali, o per lo meno, dell'interazione tra attori locali e attori nazionali.

Il processo programmatorio è oggi caratterizzato da regole interiorizzate da tutti i livelli amministrativi; regole come la concentrazione, l'integrazione, la sussidiarietà, e i sistemi di valutazione e di verifica. Cerchiamo di entrare meglio nel merito, da questo punto di vista:

Concludendo, su questo punto specifico, è bene ricordare che la stagione degli investimenti completamente finanziati dallo Stato Centrale, attraverso l'indebitamento, deve essere considerata come definitivamente tramontata.

Oggi, il dilemma più evidente è rappresentato dalla parallela necessità di ridurre il debito pubblico, gestendo nel contempo il debito medesimo, con politiche che assicurino una corretta gestione e la massima negoziabilità. Gli Enti territoriali debbono, ormai, essere considerati i veri programmatori degli interventi di sviluppo economico.

I diversi livelli istituzionali, seppur con responsabilità differenti, sono oggi completamente responsabilizzati nella programmazione dello sviluppo economico delle aree di pertinenza, attraverso un'attività che potrebbe essere sintetizzata dalle seguenti azioni: raccolta delle proposte progettuali provenienti dal territorio, trasformazione delle proposte in progetti finanziabili e individuazione delle fonti più coerenti di finanziamento.

La politica locale e regionale è, quindi, chiamata ad individuare innanzitutto il posizionamento di rete dei singoli sistemi economico-territoriali locali, sia all'interno, che nel contesto interregionale, adottando logiche di competitività tipiche dell'economia aziendale. Le Regioni, le Province e i Comuni ricoprono, con diversi gradi competenza e responsabilità, una posizione oggettivamente centrale, rispetto ai problemi dello sviluppo. Il loro orientamento, la loro capacità ed anche la loro competenza tecnica nell'uso di queste leve, appare del tutto decisivo per il futuro.

Franco Astengo
Savona - 17 Luglio 2004