Un commosso addio alla compagna Marina Briano
Ci ha lasciati la compagna Marina Briano. Un nostro ricordo e un impegno
Stavo venendo in federazione, alcuni giorni fa. Ero in scooter in via Guidobono e ho visto un lenzuolo bianco con una scritta rossa e una falce martello in fondo, messa lì come una firma. Ho letto le parole e, in pochi minuti, ho ripensato al tempo che era passato, a come oggi vi siano in Rifondazione Comunista compagne e compagni che non hanno conosciuto Marina Briano. È più che ovvio: lo scorrere degli anni è a volte un buon medico per l’animo, altre volte è un macigno, un peso indelebile, inconcludente e con cui non riesci a scendere a patti.
Marina Briano dalla militanza nel Partito Comunista d’Italia (Marxista-Leninista) era passata a quella nel PRC. Erano i primi anni del Partito, quando anche io ne cominciavo a fare parte, e la retorica del riformismo modernista ci appioppava addosso termini come “veterocomunisti”, “nostalgici” e “anacronistici”. Io non facevo molto caso a quelle aggettivazioni: quando hai vent’anni non ti senti “vetero”, non ti senti “nostalgico” e neppure fuori da una qualche cronologia di fatti e di epoche.
Marina era una di quelle compagne che, pur avendo quindici anni più di me e di altri giovani comunisti, non scorgeva nella “rifondazione” del Comunismo in Italia un elemento di separazione con la pragmatica constatazione dell’esistente. Proprio perchè era comunista, con qualche velleità stalinista che mi permettevo di contestarle – a volte – dal mero punto di vista ideologico, proprio perchè viveva la sua passione per la povera gente come un fondamento della propria vita, per questo sentiva la strenue attualità dell’essere ancora liberamente comunisti.
Ricordo i suoi interventi nelle riunioni del Comitato Politico Federale, nelle assemblee pubbliche dove si parlava di salute e di tutela dei malati. Ricordo come fosse centrale nella sua lotta sociale il tema del diritto ad una sanità pubblica che facesse veramente fede al suo dettame: quindi ad essere di sostegno generale e particolare nel momento delle sofferenze fisiche e psicologiche. Nel Partito è stata responsabile sanità e segretaria dell’allora Circolo di Albissola Marina, prima che le alterne vicende della politica portassero alla fusione dei due circoli presenti nelle Albissole.
Negli anni ho visto crescere suo figlio, Matteo, a cui ha trasmesso certamente la parte migliore di sè stessa: l’altruismo, la necessità di spendersi per migliorare la vita di tutti e di ognuno.
E così, l’altra mattina, quando siamo andati a portare l’ultimo saluto a Marina, quando ho sentito parlare prima Eraldo e poi Matteo, non ho fatto altro che fissare la mia mente sul coraggio di Marina, su quello del suo figliolo che ha espresso con grande sentimento e amore parole bellissime per la propria madre. Vorrei poter dire tante altre cose di una compagna con cui, politicamente, ho, abbiamo vissuto per molti anni. Sono sicuro che non mancherà occasione per tornare a ricordarla, e sono convinto che lo faranno molti compagni e molte compagne.
Ma una cosa vorrei ancora dire: Matteo ci ha chiesto di continuare il nostro lavoro. Ognuno di noi nei propri ambiti: di lavoro, di partito, di studio. Con un indirizzo preciso: l’emancipazione sociale dei lavoratori e di tutti coloro che sono sfruttati. Rinnovando a Matteo un grande abbraccio, lo rassicuro: nel nostro piccolo non abdicheremo a nessuna compromissione di sorta. Seppur in una fase di sconfitta, noi vogliamo contribuire a costruire il Partito comunista, perchè la società per cui Marina si è battuta è anche la nostra.
Ciao Marina, ti sia lieve la terra!
MARCO SFERINI
Savona, 6 maggio 2007