La conclusione di un'esperienza politica

Vent'anni fa il PdUP confluiva nel PCI

Vent'anni fa, tra l'estate e l'autunno del 1984, si concludeva la vicenda politica del PdUP per il Comunismo, con la confluenza (per molti si trattava di un ritorno) della grande maggioranza dei suoi quadri nel PCI.

Una storia importante per chi l'ha vissuta, ma anche per l'anomalia rappresentata dalla "multiformità" di questa formazione politica, tra rotture, scissioni e aggregazioni (i tempi erano davvero diversi dagli attuali...) a cavallo tra la tradizionale sinistra comunista e la nuova sinistra d'estrazione sessantottina; tra la "forma partito" classica e la specificità della contigua (e, nella prima fase, sovrapposta) esperienza del "Manifesto", rivista, gruppo politico, quotidiano.

Non dispongo, com'è noto, delle capacità culturali per analizzare adeguatamente l'esperienza del PdUP (al momento dello scioglimento uscì un mirabile istant-book, redatto da Aldo Garzia), ma intendo egualmente correre il rischio di scriverne, sia pure brevemente, proprio perché mi è capitato di partecipare a quell'esperienza, dall'inizio alla fine. La storia del PdUP è strettamente connessa con quella del "Manifesto", gruppo politico interno al PCI aggregatosi dopo l'XI Congresso del 1966. Un gruppo politico che rappresentò, a quel punto nell'immediato post-Togliatti (a giudizio di Rossana Rossanda), l'ultima e forse più coerente, completa e radicale espressione della tesi gramsciana prima, ed ingraiana poi, della "guerra di posizione" come forma matura e presente nella rivoluzione italiana.

Il Manifesto nacque attorno a questo nucleo originario di pensiero, come dissidenza interna al PCI: solo in seguito si pose come punto di riferimento d'esperienze diverse o affini. Una dissidenza interna al PCI che aveva preso le mosse dalla ripresa delle lotte verificatasi alla fine degli anni'50, attraverso l'elaborazione delle tematiche del capitale e della fabbrica (si pensi a Panzieri ed ai "Quaderni Rossi"); dall'impatto dei fatti del Luglio '60 (ultimi fuochi della Resistenza o primi vagiti del '68?); sulla riarticolazione dell'analisi sociale, che il PCI svolse fino alla morte di Togliatti, anche di fronte all'avvento del primo centrosinistra; alla battaglia per la successione dello stesso Togliatti, scomparso nell'estate del 1964, che si arrestò però su di una linea che non riconobbe, davvero, la radicalità della "guerra di posizione".

L'esplosione del '68, la vicenda della "Primavera di Praga" e la successiva invasione della Cecoslovacchia, definirono la posizione di molti dei più prestigiosi compagni che avevano animato, fino a quel punto, la battaglia ingraiana (cui lo stesso Ingrao aveva imposto, sbagliando, il limite di separare l'idea della guerra di posizione, dall'idea della "rottura") fino a far precipitare l'esclusione dal Partito (Novembre 1969; in precedenza, in quello stesso autunno era uscito il primo numero della rivista, accolto con grande curiosità in molti ambienti della sinistra italiana) di Pintor, Rossanda, Natoli; Eliseo Milani, Magri, Castellina, Maone.

Il gruppo del manifesto (mentre attuò la trasformazione della rivista in quotidiano) tentò, allora, diverse strade per l'aggregazione delle forze antagoniste presenti allora nel panorama politico. L'aggregazione più importante fu tentata con gli esponenti dell'ex PSIUP non confluiti nel PCI, dopo la sconfitta elettorale del 1972 (la carta elettorale fu tentata, in quell'occasione, anche dal Manifesto, presentando la candidatura di Pietro Valpreda, in quel momento detenuto per la strage di Piazza della Fontana, con esito fortemente negativo). L'incontro tra gruppo del Manifesto ed ex PSIUP diede origine, nel 1974, alla formazione del PdUP per il Comunismo. Si trattò di una vicenda complessa, il cui scenario di fondo fu rappresentato dalle contraddittorie e drammatiche vicende di quegli anni, contrassegnati dal terrorismo, da una profonda crisi economica, dall'esperienza (tentata dal PCI) della "solidarietà nazionale".

Nel PdUP non vi fu mai vera integrazione tra i due gruppi dirigenti, provenienti da esperienze profondamente diverse e divisi sulle valutazioni di fondo della crisi, e sulle esigenze programmatiche che ne derivavano, per governarla (un'impostazione, quella del "governo della crisi", proveniente dal gruppo del manifesto, in particolare su iniziativa di Lucio Magri, autore, nel Gennaio del 1974, di un importante documento sul tema). La rottura tra Manifesto ed ex PSIUP si verificò definitivamente nel 1977, al culmine dell'esperienza di solidarietà nazionale, che aveva seguito l'esito elettorale del 20 Giugno 1976 e dell'imperversare del terrorismo (che con il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, nella primavera del 1978, avrebbe raggiunto il vertice della propria parabola), dopo che già in occasione della presentazione elettorale alle politiche del 1976 si erano avuti segnali di spaccatura (da una parte Foa, Miniati, Capanna, che nel 1975 era stato eletto consigliere regionale in Lombardia, erano per un "listone" unico dei rivoluzionari comprendente Lotta Continua, che poi si fece sotto il simbolo di Democrazia Proletaria raccogliendo un risultato modesto, proprio nel momento della massima espansione elettorale del PCI; dall'altra i dirigenti del "Manifesto" che avrebbero preferito una presentazione elettorale maggiormente omogenea ed "identitaria" di una precisa area della "nuova sinistra", fino a comprendere Avanguardia Operaia).

Negli anni successivi si verificarono altri momenti di rottura e ricomposizione (congresso di Viareggio 1978, con la separazione "incrociata" tra esponenti del "Manifesto", segnatamente con Rossanda e Parlato, e di AO, segnatamente Aurelio Campi, dovuta a divergenze sulla valutazione di fondo circa l'andamento e le prospettive della "solidarietà nazionale", e il rapporto con i movimenti che avevano contrassegnato quella fase degli ultimi anni'70; congresso di Roma del 1981, con la confluenza nel PdUP del gruppo milanese dell'MLS, guidato da Luca Cafiero). Il PdUP, pur profondamente modificato nella sua composizione da questi successivi processi di distacco e di avvicinamento, non abdicò mai al tentativo di rappresentare un punto di riferimento provvisto, nell'ambito della sinistra italiana, di una propria identità di analisi culturale, senza rinunciare, nello stesso tempo, ad in indicare una prospettiva politicamente e programmaticamente praticabile (l'alternativa).

Tra la fine degli anni'70 (una fase contrassegnata, nel PdUP, dalla scelta positiva di presentazione autonoma alle elezioni del 1979, mentre contemporaneamente falliva un nuovo progetto di aggregazione dei "rivoluzionari", presentatosi sotto l'insegna del cartello di N.S.U.) ed i primi anni'80, si agitò ancora un dibattito tra la scelta di cercare di rappresentare un "terzo polo" nella sinistra, e quella di collocarsi decisamente all'interno dell'area comunista, funzionando, nella sostanza, da stimolo critico esterno e da soggetto del dibattito rivolto essenzialmente verso la necessità di una trasformazione del PCI, che, abbandonata la linea della "solidarietà nazionale" su iniziativa del segretario Enrico Berlinguer, stava schierandosi (pur con grandi contraddizioni interne) sulla linea dell'alternativa democratica.

Nel PdUP prevalse, se mi è consentito un "giudizio sintetico a priori" la scelta dell'area comunista, ed in questo senso si realizzò con il PCI l'accordo elettorale del 1983, il cui esito dimostrò la grande capacità di interlocuzione di cui i dirigenti del PdUP disponevano, presso la base e l'elettorato del PCI. L'accordo PCI-PdUP si rinnovò alle Elezioni Europee del 1984: la morte di Enrico Berlinguer, avvenuta proprio nel corso di quella campagna elettorale, non solo accelerò il processo di crisi e di divisione interna del PCI, ma strinse anche i margini di manovra politica autonoma del PdUP, all'interno dell'area comunista. Derivò così la scelta di confluire nel PCI, concordata con il successore di Berlinguer, Alessandro Natta.

Si trattò di una decisione problematica, accettata dalla stragrande maggioranza del PdUP (non confluirono nel PCI, tra i dirigenti di maggior spicco: Ivano Di Cerbo, Eliseo Milani e Lidia Menapace, quest'ultima in virtù di una sua elaborazione sulla crisi della politica e sul rapporto con i movimenti, fortemente anticipatrice della situazione che si sarebbe creata negli anni a venire). La confluenza del la tessera de Il Manifesto per il Comunismo del 1974
e quella del PdUP dell'anno seguente
PdUP nel PCI si inserì, quindi, all'interno della complessa vicenda della parte conclusiva della vita del PCI dimostrando, attraverso la capacità di riflessione e di proposta di quelli che erano stati i suoi principali dirigenti nel periodo conclusivo (con Magri e Castellina, rappresentanti del filo rosso di continuità con l'esperienza degli anni'60, si possono citare Pettinari, Vita, Crucianelli, Serafini) una particolare incisività all'interno della tormentata vicenda della fase di scioglimento del partito, dopo la svolta di Occhetto alla "Bolognina" (si pensi, in particolare, alla relazione svolta da Lucio Magri, al seminario di Arco dell'Ottobre 1990, organizzato dall'area del "NO": una relazione che può essere ancora presa di esempio, quale proposta di un concreto rinnovamento dell'identità comunista italiana).

Diverso fu, invece, l'esito della confluenza di una parte dell'ex gruppo dirigente del PdUP all'interno del progetto di Rifondazione Comunista: i tempi (come si diceva all'inizio) erano irrimediabilmente cambiati e proprio la difficoltà incontrata in quell'occasione dimostrò come, in chiusura, l'esperienza politica originata dal "Manifesto" e poi proseguita con il PdUP (mantenendo, ovviamente, l'avvertenza di tutti i mutamenti nella "composizione sociale" accumulatisi nel corso degli anni) fosse davvero legata ad una particolare, specifica, visione dell'area comunista, con riferimento a quello che era stato, con la sua grandezza, le sue contraddizioni, le sue tragedie il PCI.

Se mi è consentita una valutazione conclusiva, di fondo, posso affermare che il punto di continuità all'interno della vicenda del "Manifesto", gruppo politico, e poi del PdUP come partito, è stato rappresentato dalle tre grandi domande rivolte al PCI, alla fine degli anni'60, dal gruppo di coloro che ne erano stati radiati: la prima domanda riguardava una diversa considerazione dei rapporti sociali e l'attualità di una rottura in Occidente; la seconda domanda riguardava l'urgenza di un'articolazione nella collocazione internazionale, superando fin da quel tempo il legame di fedeltà con l'URSS (un tema sul quale Manifesto e PdUP tennero ferme le posizioni fino ad organizzare, nel 1978 a Venezia, il primo convegno con la partecipazione dei dissidenti "da sinistra" dell'Est. Convegno cui il PCI non ritenne di dover partecipare ufficialmente) la terza domanda si poneva al riguardo dell'aprire la vita del partito alla contaminazione culturale e alla possibilità di rappresentazione di diverse posizioni politiche al suo interno.

Tre punti che, esposti adesso, credo facciano ancora meditare chi visse, pur in diversa posizione, quella fase ormai lontana.

Franco Astengo
Agosto 2004