Due classi rivoluzionarie

Proletariato e borghesia sono termini ancora attuali?

Vorrei che i lettori di questa rubrica, per una volta, cercassero di immedesimarsi in due diversi ambiti che andremo illustrando. Ciò è necessario per comprendere pienamente la funzione che hanno avuto nei secoli gli opposti ruoli di classe e, nel nostro scrivere di seguito, la borghesia e il proletariato. Ecco di cosa parleremo, di due classi sociali distinte, contrapposte eppure così vicine e necessarie l'una all'altra per "giocare" comunque una partita sociologica che per forza di cose deve vedere la prevalenza di una sull'altra.

Per sottoporre ad analisi tutto ciò, dobbiamo necessariamente partire dalla funzione che Marx attribuisce all'essere umano: questo non è creatura se non degli eventi fisici e biologici che ne hanno permesso lo sviluppo sociale. Non vi è da parte di Marx la negazione di una attribuzione "umana" alla natura: ma questa, afferma il filosofo di Treviri, è insita solamente nell'uomo definito appunto "sociale". Questo essere divenuto sociale è per Marx uno "zoon politikon", ossia un "animale politico" che tende ad isolarsi e che, invece, nello stare insieme agli altri dà vita ad un rapporto relazionale che fa muovere i mezzi atti ad uno sviluppo di tutte le sue potenzialità come individuo e come individuo collettivo. La funzione dell'uomo è quindi quella di individuare le sue capacità di espressione, lavoro e sviluppo personale e non, per avvantaggiarsene, per entrare in un ciclo di produzione della ricchezza che gli possa permettere di vivere serenamente.

Qui troppo vi sarebbe da dire sul perchè le cose non funzionino in tale modo, sul perchè esistono le classi sociali, ecc. Ci limiteremo a dire che è l'evoluzione umana, del resto, che ha condotto al sistema capitalistico che è la più alta esasperazione della divisione in classi, quella più cruenta, feroce e distruttiva non solo per gli essere umani, ma anche per le sorti del pianeta.

Borghesia e proletariato, in quanto classi sociali, nascono con l'avvicinarsi del periodo industriale: quando nell'Inghilterra del '700 le fabbriche trovano espansione e 2la nazione più evoluta economicamente non fa che mostrare il futuro a quella meno evoluta2, sosteneva giustamente Marx. Per disputare sulla classe borghese, dobbiamo comprendere cosa fosse una società borghese: è certamente differente dai precedenti modelli di evoluzione della produzione, e per questo nel "Per la critica dell'economia politica" del 1857, Marx afferma con risolutezza che la borghesia è la "più complessa e avanzata organizzazione storica della produzione".

I primi settari e ottusi analisti economici critici verso il capitalismo, si ostinavano a bofonchiare che solamente il proletariato era una classe che poteva condurre alla rivoluzione e che, quindi, solo il proletariato era "rivoluzionario". E avevano ragione. Ma sbagliavano quando escludevano la borghesia da un ruolo parimenti "rivoluzionario", ma con uno scopo diverso da quello proletario: se per il proletariato la sua essenza rivoluzionaria è una necessità di percorso strategico, al fine di rovesciare il sistema del capitale e liberarsi finalmente dal giogo del profitto e del privilegio, per la borghesia il concetto di "rivoluzionamento" delle cose è essenza di sopravvivenza medesima per essa stessa.

È convinzione di Marx, suffragata da lunghi studi scientifici, che la borghesia non possa condurre avanti sè stessa senza continuamente portare dei mutamenti di metodo e di merito nella sua sfera produttiva. Quindi sia il borghese che il proletario sono due rivoluzionari, ma molto, molto diversi. E non potrebbe essere altrimenti: oppressi ed oppressori si scontrano in una lotta titanica che rischia però di svilirsi e di trascinare il proletariato nella confusione populistica dell'egoismo, grazie all'abile politica industriale del padronato aiutato da sindacati compiacenti, con la creazione delle divisioni di fabbrica, dei "livelli", ecc. Per impedire ciò, occorre, afferma Marx, che il proletariato da classe che lotta "in sè", divenga una classe sociale che lotta "per sè", con assoluta piena coscienza del proprio stato sociale e dei propri obiettivi. Compito di aiutare i proletari in ciò è essenzialmente dei comunisti.

Oggi molti polli poco ruspanti, girovaganti nel recinto delle "libertà" e in quello dove sono all'ombra di ulivi, quercie, alte alte margherite, girasoli e rose poco rosse, pensano di poter affermare che la lotta di classe non esiste più. Si arrogano il diritto intellettuale di speculare sulla estrema differenziazione classista dell'oggi. È vero, in una visione miope e mortificante il marxismo, è tanto proletario un metalmeccanico quanto un ingegnere che guadagna 250.000 euro all'anno e ha lo yatch in porto e la villa sulle colline di Savona. Entrambi, con la stupidità tipica dello schematismo posso essere definiti "proletari" solo perchè non possidenti dei mezzi di produzione.

Ma allora noi comunisti... da che parte dobbiamo stare nel difendere in questo frangente un interesse di classe? Certo dalla parte del metalmeccanico, perchè è l'anello più debole della catena produttiva, quello con meno diritti e, soprattutto, con alcun privilegio.

Come non possiamo operare schematismi di questo genere nel definire oggi la classe proletaria e quella borghese in Italia e in Europa, così non possiamo porre un velo di chiusura invece sull'immenso formarsi di un sottoproletariato urbano nelle favelas del Brasile, in quelle Colombiane e Peruviane o Venezuelane. Così non possiamo, come si può vedere: primo, dire che la lotta di classe non esiste; secondo, dire che borghesia e proletariato non esistono più.

La borghesia ultramodernista di oggi è anche quella delle piccole aziende, ma è soprattutto devota alla concentrazione massima del capitale (Bill Gates e tutti i cartelli monopolistici che gli stanno intorno...). I lavoratori salariati, il moderno proletariato è in una fase di ripresa della propria coscienza di classe "per sè", ma occorre qualificare bene gli obiettivi della lotta sociale per condurlo ad una vittoria sicura. L'obiettivo resta il superamento del sistema di produzione capitalistico. Per il Comunismo.

Marco Sferini
Novembre/Dicembre 2003