Da Bernstein al PSI

I comunisti e il riformismo

Una delle prime polemiche sorte dopo la morte di Marx è, senza ombra di dubbio, data dalla nascita di una pratica strategico-politica che tende non tanto a deviare dai cardini solidi dell'analisi del sistema di produzione capitalistico fatta dal "Moro", quanto dal metodo da perseguire per combattere e superare questa struttura economica. Requisitorie splendide contro il nascente "riformismo" sono state scritte da Rosa Luxemburg: non sono discorsi oratori o tentativi di speculazioni politiche, bensì lucide constatazioni e conseguenti confutazioni di quello che, per esempio in Germania, veniva asserendo Bernstein.

Negando un possibile crollo del capitalismo, afferma la grande marxista polacca, ecco che "si revisiona il programma socialista". "Senza crollo del capitalismo - continua Rosa - l'espropriazione della classe capitalista è impossibile. Bernstein rinuncia quindi all'espropriazione ed eleva a scopo del movimento operaio la realizzazione progressiva del principio corporativistico".

È una lotta senza quartiere quella che si sviluppa nel Partito Socialista Democratico tedesco: ne va appunto dell'impostazione politica del partito stesso e quindi della sua lotta sociale. Il riformismo di Bernstein è ben impiantato su un "gradualismo" che rinnega persino le più esplicite lotte di riforma sociale, che neanche la Luxemburg si sente di accantonare come strumento di avanzamento dei diritti proletari. A tal proposito essa scrive: "La socialdemocrazia può dunque essere contro le riforme sociali? O può contrapporre la rivoluzione sociale, il rovesciamento dell'ordine esistente, che costituisce il suo scopo finale, alla riforma sociale? Sicuramente no. Per la socialdemocrazia, lottare giorno per giorno anche all'interno del sistema esistente per delle riforme, per il miglioramento della condizione dei lavoratori, per delle istituzioni democratiche, costituisce la sola maniera per condurre la lotta di classe proletaria e per lavorare verso lo scopo finale, che è la presa del potere politico e l'abolizione del sistema salariale. Fra riforma sociale e rivoluzione la socialdemocrazia vede un nesso indissolubile: la lotta per le riforme è il mezzo e la rivoluzione sociale lo scopo".

Ciò che Bernstein fa, invece, dando vita ad un cieco riformismo antiproletario e filocapitalista, è creare una vera e propria contrapposizione tra il riformismo sociale e lo scopo rivoluzionario. Questi due momenti dell'azione comunista non sono più legati tra loro, ma divengono due diverse e dicotomiche identità politiche e strategiche. Bernstein rinuncia a quello che è lo scopo dei comunisti: la rivoluzione e il superamento dell'ordine capitalistico. Ecco che il riformismo sociale, da metotologia contingente volta al più alto orizzonte comunista, diviene esso stesso lo scopo, cancellando la vera liberazione sociale dell'uomo dal profitto e dalla schiavitù della merce.

Su questa impostazione si innestano anche in Italia, negli ultimi due secoli, i varii riformismi che hanno prodotto la nascita di quelle "correnti massimaliste", così definite allora, divenute poi le varie sezioni dell'Internazionale comunista. Filippo Turati abbandona l'idea di poter sovvertire "lo stato di cose presente" e Gramsci dà vita con Bordiga e Tasca al Partito Comunista d'Italia. Nell'Italia post-bellica, quella dei primi decenni repubblicani, il riformismo assume una nuova connotazione di classe. Esso si definisce ancora "socialista", ma in realtà si identifica con un programma il cui unico scopo è l'opportunismo che, a sua volta, produce la partecipazione governativa permanente del PSI ai governi del "pentapartito" e la definitiva derubricazione dalla propria agenda di ogni volontà anche timidamente riformatrice. Ormai la lotta dei socialisti diviene una mera ricerca di assestare il capitalismo su posizioni "umaniste", meno cruente possibili.

La rivoluzione non è solo lontana, proprio non è più neanche immaginata; così pure il riformismo alla Bernstein è solo un vago ricordo che, da scopo dell'agire politico è divenuto uno stagnante e dannoso inganno sociale, che ha condotto la classe operaia ad eterne divisioni.

L'essere comunisti oggi significa richiamarsi a quello schema di lotta che Rosa Luxemburg proponeva nei due tempi del "mezzo" e dello "scopo". E per noi lo scopo resta sempre la ferma volontà di far avanzare i diritti sociali e, con essi, quella necessaria evoluzione storica che è il comunismo.

Marco Sferini
Dicembre 2002