L'amministrazione locale e lo sviluppo economico del territorio

Intervento pubblico e contesto europeo

Nei sistemi economici moderni, appaiono sempre più uniformi le forme che l'intervento pubblico assume nei processi di sviluppo economico territoriale. Agli obiettivi generali, solitamente si affiancano poi, obiettivi speciali che, però, possono essere considerati intermedi e, in ogni caso, specifici e qualificanti dagli stessi obiettivi generali.

Gli obiettivi economici perseguiti dall'operatore pubblico possono, allora, essere sintetizzati come segue: efficiente allocazione delle risorse; distribuzione equa della ricchezza, distribuzione equa dei prodotti; stabilità della crescita economica; equilibrio dei conti; sviluppo economico. È possibile sintetizzare le moderne teorie politico-economiche dello Stato in tre principali tipi di intervento pubblico in economia: al redistribuzione del reddito, la stabilizzazione macroeconomica e la regolazione del mercato.

La redistribuzione include tutti i trasferimenti di risorse da un gruppo di individui, di imprese, di Enti Locali, Regioni o Paesi verso altri gruppi, altri territori, altri Paesi; così come l'offerta di beni cosiddetti meritori, quali l'istruzione primaria, le assicurazioni sociali, i servizi sanitari e tanti altri beni simili, sono parte integrante della redistribuzione. Il potere economico dello Stato, si riscontra sia nelle scelte connesse alle politiche economiche, sia nell'ambito della stessa finanza pubblica. Le "policies", pur non rientrando nel campo dell'attività finanziaria in senso stretto, introducono comunque vincoli in grado di definire percorsi di sviluppo ben precisi.

Molto spesso, semplificando, si tende a sottolineare come mentre nel campo dell'economia di mercato le scelte dei singoli sono frutto di libera determinazione individuale, nel campo dell'attività finanziaria pubblica, vi è un soggetto attivo (appunto l'operatore pubblico), che fa le sue scelte e degli operatori passivi (i privati) cui tali scelte sono imposte. Questa impostazione di fondo appare riduttiva soprattutto alla luce del tentativo di analizzare da tutte le angolature l'economia delle Amministrazioni Pubbliche; e se nella nostra impostazione il comportamento dell'attore pubblico (e quindi dell'azienda pubblica) è, in un qualche modo, influenzato dal sistema economico e dal sistema politico (a loro volta condizionati da gruppi di interesse privati organizzati), allora può avere meno senso parlare di soggetti attivi (quelli pubblici) e passivi (i privati), ma di soggetti che si condizionano reciprocamente in relazione alle priorità sociali, politiche, economiche e finanziarie del momento.

Nell'attività finanziaria classica, possiamo individuare quattro elementi che sottolineano le finalità dell'intervento pubblico:

Pur non mancando coloro che sottolineano come l'intervento pubblico comporti necessariamente effetti negativi, è bene evidenziare che lo scopo dell'intervento pubblico locale nella vita economica è semplicemente quello di accrescere il benessere collettivo: ed è su questo che va valutata l'azione pubblica ed il funzionamento delle stesse Amministrazioni Locali. Da questo punto di vista (quello dell'analisi e valutazione delle politiche), va sottolineata la nascita (da diversi decenni) e la crescita, nel mondo anglosassone, della scuola delle cosiddette "scelte pubbliche" (J. Buchanan e R. A. Musgrave, M. A. Cambridge "Public finance and public choice: two contrasting vision of State, London 1999).

L'obiettivo più importante delle analisi di "scelte pubbliche" è lo studio dei comportamenti degli operatori coinvolti, a vario titolo, nell'assunzione di determinate scelte politiche e della loro influenza sui diversi livelli finanziari (entrate e spese) dello Stato. I soggetti sono, ovviamente, i gruppi di pressione, le imprese, i sindacati, la burocrazia, i politici e gli stessi elettori. Il punto chiave della scuola di "scelte pubbliche" è la convinzione che tutti gli operatori politici, operano come dei soggetti economici.

Questa impostazione teorica, che più delle altre oggi si avvicina ai cambiamenti in corso, ci conferma come nel ventunesimo secolo, i soggetti pubblici dei Paesi dell'Unione vivano una grande trasformazione; accrescere lo sviluppo economico e sociale di un territorio, significa riflettere non solo sui cambiamenti delle Pubbliche Amministrazioni e sulle teorie economiche di riferimento, ma anche sui profondi cambiamenti del sistema istituzionale.

Il processo di coesione, convergenza ed integrazione tra le diverse aree locali europee ha letteralmente cambiato le "policies", nel corso degli ultimi quindici anni. Gli enti territoriali sono oggi considerati i veri programmatori degli interventi di sviluppo economico.

I diversi livelli istituzionali, seppur con differenti responsabilità, sono adeguatamente responsabilizzati nella raccolta delle esigenze della collettività e nella trasformazione delle stesse esigenze, in progetti realizzabili e finanziabili. Lo Stato gestore delle attività economiche, ingegnere sociale e dispensatore di beni, lascia, in questa fase storica anche grazie alla forte spinta del processo di integrazione comunitario, il posto allo Stato regolatore, capace di guidare le attività dei privati, rispettando la natura e, nello stesso tempo, garantendo benefici collettivi, attraverso la protezione degli interessi della collettività.

Uno stato regolatore svolge, per lo più, attività regolativa ponendo condizioni di funzionamento efficiente ai mercati e ai privati: è uno Stato, quello regolatore, responsabile dell'efficacia delle proprie misure, nonché della prevenzione di eventuali effetti indesiderabili su altre sfere sociali, delle medesime misure.

È stata, per lungo tempo, opinione diffusa, quella secondo cui, l'Unione Europea, fosse strutturalmente incapace di produrre politiche socialmente ed economicamente più avanzate, di quelle adottate dai singoli Stati membri. Opinione formatasi, soprattutto, sull'analisi dei processi costitutivi delle politiche d'intervento. Al contrario, smentendo queste previsioni e a partire dall'Atto Unico, la Comunità Europea prima e l'Unione poi, hanno mostrato una capacità d'innovazione rivolta , proprio, verso i tre principi che hanno tracciato la linea europea: la convergenza, la coesione e l'integrazione tra i diversi territori.

L'attività normativa, a livello europeo, negli ultimi tre decenni ha avuto una crescita significativa, toccando anche materie non previste dai trattati originari e non strettamente connesse al funzionamento del mercato comune. Delle sette aree di politiche comunitarie più importanti, come le politiche regionali, ricerca e sviluppo tecnologico, ambiente, protezione del consumatore, sicurezza sul lavoro, politica della salute e politica culturale, solo la politica riguardante la sicurezza sul lavoro è espressamente menzionata nel Trattato di Roma e, in ogni caso, solo come area decisionale, dove la Commissione avrebbe dovuto promuovere una stretta cooperazione tra gli Stati membri.

In conclusione del ragionamento fin qui portato avanti al riguardo di questo aspetto della transizione istituzionale in corso, si può affermare che ci si sta avviando sempre più verso un ruolo dello "Stato regolatore", che svolge, di conseguenza, sempre più attività di tipo regolativo, riferendosi ad ambiti di attività svolte per lo più da privati, ai quali sono poste condizioni di funzionamento efficiente. Lo Stato regolatore è responsabile della valutazione dell'efficacia delle proprie misure, nonché della prevenzione di eventuali effetti indesiderabili su altre sfere sociali.

Uno stato di questo tipo non può essere confuso con lo Stato che pianifica l'economia, o con lo Stato erogatore di dirette prestazioni, né con il cosiddetto "Stato minimo" che è sistematicamente astensionista e contesta energicamente l'espansione del concetto stesso di "regolazione". I contorni dello Stato regolatore possono essere diversi e sfumati in numerosi tipi di Stato (in funzione delle misure adottate e delle conseguenze tangibili), ma ciò che appare ormai comunemente accettato, è il fatto che si parli di Stato regolatore quando si ha un sistema in cui, il pubblico non essendo parte in causa o direttamente coinvolto in determinate attività, è in grado di porre una restrizione intenzionale dell'ambito operativo di un dato soggetto.

Apportando qualificazioni ulteriori, è possibile affermare che la regolazione è la guida, con mezzi amministrativi pubblici (public administrative policing), di una attività provata secondo una regola statuita nell'interesse pubblico (L. Hancher e M. Moran, in Organizing Regulatory Space, Oxford Clarendon Presse, 1989).

La regolamentazione è, pertanto, il processo in cui si rileva non solo il momento della formulazione delle regole, ma anche quello della loro concreta applicazione che avviene attraverso l'azione delle Amministrazioni Pubbliche locali e quindi non l'astratta, ma la concreta modificazione dei contesti d'azione dei destinatari.

Su alcuni temi, inoltre, la distinzione netta tra legislazione ed amministrazione impone la presenza di autorità regolative ed indipendenti (in questo momento, in Italia esistono Autorità consolidate come la Banca d'Italia, la Consob, l'Autorità Antitrust e Autorità più recenti come l'Autorità per le comunicazioni, l'Autorità per l'energia e l'Autorità garante per la privacy), che per altri versi sono dei veri e propri strumenti caratteristici dello Stato regolatore.

Il forte processo di trasformazione del sistema pubblico italiano (ancora in corso e non perfettamente definito) e le evoluzioni del modello di governance europeo, ci indica la vicinanza di un vero e proprio bivio per i Paesi europei: o l'accettazione dell'esperienza delle Autorità e il conseguente potenziamento sulle singole scale nazionali, oppure il riassorbimento da parte dei circuiti dell'Amministrazione Pubblica tradizionale.

In Italia l'idea dello Stato regolatore appare ormai sufficientemente accolta e condivisa da studiosi ed operatori, ma la situazione italiana rimane, nel suo complesso, incerta.

Possiamo pertanto asserire, schematizzando in ultima istanza, che lo Stato regolatore può essere nettamente distinto dallo Stato Sociale, se quest'ultimo è visto come un dispensatore di beni (così come definito da G:Corso in "Lo Stato come dispensatore di beni: criteri di distribuzione, tecniche giuridiche ed effetti, in Studi in memoria di Giovanni Tarello vol. II Giuffrè, Milano, 1990).

Lo Stato regolatore deve, altresì, essere distinto dallo Stato interventista e pianificatore che tende ad intraprendere programmi come il soddisfacimento di tutti i possibili bisogni sociali o la gestione globale dello sviluppo socio-economico.

Lo Stato regolatore mira a fornire specifiche risposte a problemi circoscritti , rispettando per quanto possibile, le logiche dei sistemi regolati e i confini tra le competenze dei diversi livelli istituzionali; in questo modello le responsabilità relative al soddisfacimento dei bisogni sono regolate e ripartite tra i diversi livelli dell'architettura istituzionale.

Franco Astengo
Savona - 17 Luglio 2004